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Avviata l’indagine sulla presenza di mercurio nel Paglia e Tevere, gli esiti dell’incontro

da OrvietoNews.it del 9 gennaio 2017

Si è tenuto lunedì 9 gennaio in Comune, come annunciato, l’incontro di informazione pubblica sulla prima fase del Piano d’indagine nelle aste fluviali dei fiume Paglia e Tevere per la verifica dello stato di contaminazione da mercurio a conclusione dell’indagine conoscitiva sullo stato di contaminazione da mercurio, coordinata dall’Autorità di Bacino del Tevere con il coinvolgimento delle strutture tecniche delle Regioni Toscana, Umbria e Lazio e delle rispettiva ARPA e la partecipazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Infatti, a seguito della richiesta di attivazione della normativa sul danno ambientale, ai sensi dell’art. 309 del D.Lgs. n. 152/06 rivolta dalla Regione Umbria al Ministero dell’Ambiente, e attraverso il coordinamento dell’Autorità di bacino del Tevere, le Regioni Toscana, Umbria e Lazio hanno incaricato le rispettive Agenzie di protezione ambientale (ARPA) di elaborare un piano di indagine integrato per la verifica dello stato di contaminazione da mercurio al fine di progettare le specifiche attività del monitoraggio previsto dalla Direttiva 2000/60/CE integrate con valutazioni ambientali e sanitarie su suolo, sedimenti e alimenti che investono l’intera piano alluvionale del paglia e la porzione del Tevere a valle della confluenza fino alla traversa di Nazzano.

I lavori, coordinati da Giorgio Cesari – Autorità di bacino del fiume Tevere, sono stati aperti dai saluti del Sindaco di Orvieto, Giuseppe Germani e dall’Assessore regionale Fernanda Cecchini, assenti giustificati da altri impegni istituzionali nelle rispettive regioni, gli Assessori Regionali Federica Fratoni (Toscana) e Mauro Buschini (Lazio) e il rappresentante del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Francesco Gigliani.

Di seguito ampia sintesi degli interventi a cura dell’Ufficio Stampa del Comune di Orvieto:

 “In questi mesi – ha detto il Sindaco, Giuseppe Germani nel ringraziare i partecipanti – si è lavorato ad un problema che emerge da tempo e rispetto al quale cerchiamo tutti di capire il fenomeno per trovare le soluzioni più idonee. Desidero aprire questa giornata ricordando il Prof. Roberto Minervini che sui temi dell’ambiente si è speso molto e che è scomparso in questi giorni. Oggi cercheremo di entrare su un tema in cui spesso si è parlato a sproposito. Tre regioni che si mettono insieme per affrontarlo è un primo elemento della metodologia che intendiamo portare avanti. Insieme, le tre ARPA stanno portando avanti una grande indagine per fornirci gli elementi scientifici necessari ad affrontare il problema. In questa zona abbiamo investito molto sull’ambiente la cui salvaguardia ci interessa particolarmente. Oggi dovremo capire anche dove andare a reperire le risorse e quali prerogative sviluppare, ma anche il percorso su cui lavorare per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. L’Amministrazione Comunale di Orvieto è a disposizione con tutto quello che può fare possiamo, anche nel contesto del programma del ‘Contratto di Fiume’ che può essere di grande aiuto all’obiettivo di questa azione congiunta”.

Gli obiettivi sono anche quelli della Regione Umbria – ha affermato l’Assessore All’Ambiente, Fernanda Cecchini – ma prima di approntare interventi di bonifica occorre capire lo stato delle cose. Siamo una regione che ha tra le sue punte di diamante la qualità dell’ambiente, quindi per noi portare avanti una politica volta a monitorare ed intervenire è straordinariamente importante. Questo lavoro coincide con il piano di aggiornamento della qualità delle acque che comprende un lavoro corposo ed una situazione che vede la maggioranza dei nostri corsi d’acqua attestarsi su caratteristiche positive. L’attività estrattiva sull’Amiata durata per circa 120 anni se da un lato ha sostenuto le stagioni di progresso, a distanza di 40 anni dalla chiusura dell’ultima miniera ad Abbadia San Salvatore, sta procurando preoccupazioni per il livello di sedimenti di mercurio. Rispetto alle preoccupazioni e ai dati reali del territorio è giusto fare sintesi su questo fenomeno e dare informazioni certificate alla comunità perché ci sia la consapevolezza di come stanno le cose. Regioni, ARPA ed Autorità di Bacino hanno il compito di studiare e mettere a disposizione i risultati. Abbiamo fatto quello che le Istituzioni possono fare per mettere al lavoro quanti ne hanno competenza. I primi risultati ci sono e vanno confrontati con altri elementi. Per fare questo occorre l’individuazione delle risorse necessarie”.

Diego Zurli (Regione Umbria) ha posto in evidenza il metodo di lavoro che dovrebbe essere replicato per tutti i vari aspetti riguardanti i fiume Paglia, ovvero: “ci sono più soggetti riuniti per affrontare un sistema complesso che richiede approfondimenti e valutazioni da condividere con altri territori. Sarebbe importante istituire un primo tavolo di lavoro per affrontare in un’ottica più ampia un tema che ha un valore su scala non solo locale ma nazionale. Penso al tema del rischio idraulico, al trasporto dei sedimenti, al tema delle dighe”. Sollecitazione subito accolta dal rappresentante dell’Autorità di bacino del fiume Tevere, Giorgio Cesari.

Sempre in rappresentanza dell’Autorità di bacino, Remo Pelillo ha ricordato che “siamo in una fase di passaggio tra Bacino e Distretto Idrografico dell’Appennino Centrale. Nel prosieguo di questo importante lavoro di studio, l’indagine dovrà essere allargata al Fiora. Grazie al rapporto di collaborazione e progettazione condivisa tra le varie ARPA e le Regioni si porrà l’accento dalle concentrazioni ai carichi inquinanti che, in qualche modo, vengono inseriti o naturalmente o attraverso le attività umane. La questione dei carichi è essenziale poiché la Commissione Europea su questo aspetto non fa sconti. Questo studio è il primo di una serie di valutazioni. Il valore medio è un valore atteso che non è detto che arrivi. La varianza dei fenomeni naturali insieme al valore medio dà la misura della complessità del sistema. Il piano di indagine consentirà di vedere le misure da attuare già nel 2017. L’inventario delle emissioni degli scarichi è l’altro tema che lo studio dovrà affrontare per controllare le fonti di inquinamento. C’è poi la necessità di allineare il catasto dei prelievi idrici. Come Autorità di Bacino saremo impegnati nel raccordo del lavoro delle tre regioni”.

I passaggi operativi della prima indagine documentale realizzata in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze per verificare l’origine e l’entità della presenza di Mercurio, sono stati riassunti dall’Ing. Sandro Posati della Regione Umbria il quale ha ricordato che lo scorso agosto, il Comune di Orvieto ha costituito il gruppo tecnico operativo composto da vari rappresentanti delle Istituzioni con compiti di condivisione, monitoraggio ed informazione al territorio sulle attività tecniche conoscitive messe in atto da varie Amministrazioni  inerenti sia le matrici ambientali che gli eventuali impatti sulla salute pubblica, nonché sulle possibili  ipotesi di intervento per la mitigazione del rischio. In seguito, Arpa Umbria ha sensibilizzato l’Autorità di bacino del Tevere che la stessa ha posto all’ordine del giorno del comitato tecnico alla presenza delle Regioni e del Ministero dell’Ambiente. Le Regioni hanno dato mandato alle Agenzie di protezione ambientale di Toscana, Umbria e Lazio di predisporre un programma di attività condiviso, al fine di esaminare nelle matrici ambientali, e in prima battuta in alcune matrici alimentari, la presenza del mercurio lungo il corso del Fiume Paglia e del Fiume Tevere. Altro tema trattato nel programma di indagine è quello relativo all’uso di tecniche sperimentali per la mitigazione e riduzione della presenza di tale inquinante nelle sue forme più dannose per la salute umana. La Regione Umbria si è impegnata a collaborare e contribuire con 50 mila Euro per annualità 2017 alle varie fasi dello studio.

Degli obiettivi del monitoraggio vero e proprio, da svilupparsi anche per successive fasi di affinamento in relazione ai risultati intermedi conseguiti, ha parlato Giancarlo Marchetti di ARPA Umbria.

Il Piano di Indagine

Il monitoraggio dovrà: verificare lo stato di contaminazione da mercurio nei diversi ambiti territoriali e nei principali elementi-bersaglio; ricostruire la dinamica del fenomeno; identificare i potenziali interventi conseguenti ai risultati del piano.

Le possibili Azioni conseguenti ai risultati sono rappresentate da: misure provvisorie e contingibili a tutela della salute umana, compresa l’eventuale rimodulazione di quelle già messe in atto in forma autonoma; identificare le più corrette procedure amministrative d’azione anche ai fini del reperimento delle necessarie risorse economiche; azioni strutturali (qualora necessario) da mettere in campo al fine di riportare le concentrazioni di sostanze inquinanti presenti nel suolo, sottosuolo ed acque sotterranee e superficiali entro soglie tali da non comportare rischio sanitario e garantire l’assenza di esportazione di contaminazione.

Come emerge dalla letteratura scientifica, le origini della presenza del Mercurio nel fiume Paglia risulta principalmente attribuibile alle attività estrattive presenti nell’area sud del Monte Amiata ed ora terminate. Il distretto minerario del monte Amiata ha rappresentato il quarto sito estrattivo al mondo con una produzione di circa 102.000 tonnellate di Mercurio dal 1860 al 1980. Il fiume Paglia ha un ruolo chiave nel trasporto del Mercurio in quanto drena buon parte dell’area mineraria. Il fiume Tevere, in virtù del contributo proveniente dal Paglia, può essere potenzialmente considerato uno dei maggiori contribuenti alla presenza di Mercurio nel mare Tirreno. Studi scientifici evidenziano che ad oltre 30 anni dalla chiusura del polo minerario, continuano ad essere presenti sull’ambiente effetti di diffusione, anche a distanza lungo il reticolo idrografico, di Mercurio.

Il Piano di indagine integrato condiviso tra Ambito di Bacino Tevere, le tre Regioni e le tre Arpa è finalizzato a progettare le specifiche attività del monitoraggio previsto dall’art. 8 della Direttiva n. 2000/60/CE integrate con valutazioni ambientali e sanitarie su suolo, sedimenti e alimenti che investono l’intera piana alluvionale del Paglia e la porzione del Tevere a valle della confluenza fino alla traversa di Nazzano.

L’area di indagine è suddivisa in 5 unità, ritenute significativamente omogenee al loro interno.
– Primo tratto: dalle origini sino allo sbocco nella pianura alluvionale di Monterubiaglio Allerona; (caratterizzato da un regime fluviale di carattere tipicamente torrentizio con poco materiale sedimentato). Sarà posta attenzione agli apporti degli affluenti laterali del Paglia provenienti dalle sorgenti primarie di contaminazione ubicate intorno al Monte Amiata.

– Secondo tratto: da Monterubiaglio – Allerona sino ad Alviano, caratterizzato da depositi e terrazzamenti alluvionali con un’estensione longitudinale al Paglia fino ad un paio di chilometri.

– Terzo tratto: ingresso alla zona umida di Alviano ed uscita Alviano, per verificare la presenza del mercurio nei sedimenti e eventuali dinamiche di accumulo.

– Quarto tratto: dal Tevere dopo Alviano sino alla confluenza con il Fiume Nera ad Orte, caratterizzato da uno scorrimento del fiume a tratti meandriforme in depositi alluvionali consistenti e di buona larghezza.

– Quinto tratto: da Orte, confluenza del Fiume Nera sino all’invaso di Nazzano.

Quanto alle Azioni previste all’interno di ciascuna delle unità saranno i definiti i profili geomorfologici, trasversali al tratto fluviale, con la ricostruzione dei terrazzi e delle aree interessate da alluvioni recenti; sui profili più significativi saranno definiti dei transetti dove eseguire campionamenti nelle varie unità geomorfologiche delle varie matrici ambientali e alimentari quali: Analisi di sedimenti fluviali e di terrazzo; Analisi di acque di pozzo e di fiume; Analisi di ortaggi, frutta; Analisi di Hg in aria e flussi dal suolo; Analisi nei pesci; Attività di phytoscreening.

Costituiscono attività preliminari il: Censimento delle miniere con presenza di cinabro e forni di arrostimento; il Censimento delle gallerie minerarie di drenaggio; la Verifica dello stato amministrativo delle bonifiche; la Valutazione (su tutto il bacino) della presenza di fonti potenziali di origine antropica e la Valutazione di fonti naturali di mercurio e dei livelli dei valori di fondo naturali.

Dal momento che le principali miniere di mercurio del comprensorio dell’Amiata insistono prevalentemente nel fiume Paglia e nel bacino del Fiora, oltre all’attività di monitoraggio e censimento delle miniere e delle gallerie minerarie di drenaggio, e sulla presenza di fonti antropiche – ha poi evidenziato Cesare Fagotti di ARPA Toscana – la Regione Toscana si concentrerà soprattutto nel vedere se c’è ancora un trasporto di mercurio. Il costo complessivo della ricerca è di 253.600 mila euro non ancora tutto finanziato ma in parte sì. Anche Regione Toscana ha deliberato risorse”.

La recente normativa europea – ha precisato Angiolo Martinelli di ARPA Lazio – ha introdotto per alcune sostanze, tra cui il mercurio, non solo la valutazione attraverso l’acqua ma attraverso tessuti organici (pesci), sarà questa pertanto una indicazione che verrà integrata nel Piano. Si arriverà a prendere in considerazione fenomeni di accumulo e trasferimento, ricostruendo il transito del trasporto di mercurio e in quale forma attraverso stazioni di campionamento. Già nel 2017 si potranno verificare le condizioni di maggiore/minore criticità. Uno studio deve darsi un obiettivo, una tempistica e delle risorse. Questo è il lavoro centrale che dovrà essere integrato da altre conoscenze inerenti il corridoio fluviale. Al fine di verificare tutte le possibili fonti di emissione di mercurio, si sono una serie di strumenti come ad esempio i piani regionali di inquinamento dell’aria. Il quadro delle conoscenze va costruito. Il CNR/Istituto Inquinamento Atmosferico sta procedendo all’aggiornamento dell’inventario delle emissioni che sarà utile per riportare a scala locale le valutazioni che emergono”.

Nel portare i saluti dell’Assessore regionale all’Ambiente della Regione Lazio, il rappresentante della Direzione Regionale Ambiente e Sistemi Naturali, Vito Consoli ha ringraziato l’Autorità di Bacino del Tevere per l’opportunità che è stata data di lavorare unendo tre regioni. “Dal punto di vista ambientale – ha sottolineato – le cose vanno affrontate solo in maniera integrata. Quello di oggi quindi è un incontro molto opportuno che spiega come ci muoveremo. Una metodologia da seguire nel tempo per informare la gente su come si sta andando avanti in quanto trasparenza significa anche questo, e non parlare soltanto alla fine di un percorso. Quello su cui stiamo lavorando è un piano di indagine serio. Come Regione Lazio lo approveremo prossimamente. Le risorse sono già postate nel bilancio precisando che si tratta delle risorse necessarie a partire. Allo studio dovrà seguire un piano di intervento che dovrà essere altrettanto serio ed anche molto prudente perché si tratta di un problema complesso che richiede un processo di comunicazione e trasparenza”.

La fase del dibattito, prevista a conclusione dell’incontro informativo, è stata arricchita dai contributi di:

Francesco Biondi (geologo) che ha detto di aspettarsi un maggiore coinvolgimento delle Associazioni. “Colpisce – ha aggiunto – la pochezza dei soldi che vengono elargiti dalle Regioni: 50 mila euro sono briciole. Le regioni, se comprendono veramente il problema, devono investire di più. il mio è un appello in questa direzione dimostrando di voler portare avanti un impegno serio”.

Le azioni coordinate dal basso hanno prodotto dei risultati – ha detto Endro Martini coordinamento tecnico del “Contratto di fiume Paglia” affidato ad Alta Scuola – dato che il tema è interregionale è in calendario l’idea di chiedere un comitato istituzionale dell’Autorità di Bacino affinché da questa istituzione venga un cofinanziamento del progetto. Sarebbe auspicabile che anche nel lavoro del contratto di fiume articolato su quattro tavoli tematici, proseguisse il modo di lavorare insieme. Infatti all’interno del Contratto di Fiume potrebbero essere affrontate altre tematiche pari a quella del mercurio. Da ultimo sarebbe interessante sensibilizzare le tre regioni per una indagine parallela da farsi da parte delle USL sulle patologie mercurio collegate”.

L’Autorità di Bacino è presente nei contratti di fiume – ha precisato Giorgio Cesari – il comitato istituzionali è stato richiesto da questa Autorità al Ministero Ambiente. La questione partecipativa è prevista mentre la direttiva sul monitoraggio prevede il raccordo con il Ministero della Sanità. Stiamo parlando di un piano di indagine che è stato avviato. Abbiamo previsto di individuare altri momenti di partecipazione pubblica insieme con le altre regioni”.

Esiste il problema storico e quello del completamento della bonifica dell’area mineraria dell’Amiata su cui tutte le tre regioni devono insistere – ha sostenuto Velio Arezzini rappresentante del Comitato cittadini di Abbadia San Salvatore – abbiamo chiesto che le bonifiche fossero gestir dai Comuni piuttosto che di Eni, perché è possibile riappropriarsi di pezzi del territorio bonificato. Oggi i responsabili della bonifica sono gli Enti Locali ma le risorse sono insufficienti. Fino ad oggi, nella zona dell’Amiata, sono stati spesi circa 7 mln e resta fuori il lotto dei forni i cui lavori dovrebbero iniziare nel 2018. Parlare ancora di inquinamento del Paglia dovuto alla miniera è una cosa ormai in via di superamento, si parla invece molto poco di geotermia che noi al contrario riteniamo sia un fenomeno non trascurabile e molto più inquinante”.

La corretta metodologia di indagine da estendere in un fascia molto più ampia dell’attuale alveo attivo del fiume non può prescindere dall’analisi storica” ha dichiarato Corrado Cencetti del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia.

Riconosco l’impegno del Sindaco che, da noi sollecitato, ha promosso questo incontro – ha dichiarato Lucia Vergaglia, Capogruppo M5S al Comune di Orvieto – vorrei sapere se questo studio approfondirà anche l’incidenza sul nostro territorio di alcune patologie riconducibili a determinate sostanze (patologie del sistema neurovegetativo, autismo), ciò al fine delle prevenzione”. Alla domanda ha risposto Giancarlo Marchetti che ha riferito “Il Ministero della salute ha introdotto nel Piano Nazionale della Prevenzione per la prima volta il tema ambiente e salute; anche la regione ha approvato il Piano regionale istituendo un Osservatorio Ambiente e Salute e in quell’ambito andranno confrontati i dati (evidenze di carattere sanitario e evidenze di carattere ambientale per eventuali approfondimenti epidemiologici)”.

La “raccomandazione affinché i risultati dello studio siano rapidi per fugare ogni ansia fra i cittadini” è giunta da Valentino Maggi rappresentante dei pescatori sportivi del bacino del Paglia.

A conclusione dei lavori, il Sindaco, Giuseppe Germani ha detto: “fino a qualche tempo fa nemmeno sapevamo con chi iniziare ad interloquire, oggi invece possiamo dire di essere finalmente partiti con uno studio scientifico che riguarda un territorio ampio del Centro Italia, effettuato da tre Regioni. Nella Regione Umbria, nelle altre regioni e nelle ARPA abbiamo trovato le interlocuzioni necessarie. Sulla geotermia mi limito a ricordare che dai Comuni dell’Orvietano è giunto un NO chiaro. Dovremo impegnarci ancora per far sì che la pratica della condivisione fra le Istituzioni diventi una metodologia di lavoro ricorrente”.


da TELEORVIETOWEB DUE del 9 gennaio 2017


da OrvietoSì.it del 10 gennaio 2017

Verifica dello stato di contaminazione da mercurio nelle aste fluviali dei fiumi Paglia e Tevere

di Valentino Saccà

ORVIETO – Quello del mercurio nel Paglia è un problema annoso, delicato e complesso che riguarda le tre regioni Umbria, Lazio e Toscana, che ha bisogno di essere analizzato dalla radice e su cui informare la cittadinanza in modo trasparente.
Ieri mattina, come annunciato,
presso il comune di Orvieto è stato presentato un incontro informativo sui lavori riguardanti il Piano di Indagine sul mercurio nel Paglia.
Giorgio Cesari  dell’Autorità di Bacino, ha aperto ricordando che si tratta di un incontro informativo e che il Piano comprende congiuntamente le regioni Lazio Umbria e Toscana le tre rispettive ARPA e l’Autorità di bacino. E per affrontare e risolvere tale problema bisogna prima dare un quadro chiaro della situazione.
Ha fatto poi il suo intervento il sindaco
Giuseppe Germani, durante il quale ha brevemente ricordato la recente scomparsa del professor Minervini, che si è speso molto sul fronte ambientale.


In questi mesi si è andati avanti con questo lavoro congiunto, cercheremo di entrare nel dato reale di questo problema. Se vogliamo puntare a una politica di sviluppo bisogna comprendere alla radice problemi di tale portata. Insieme, le tre ARPA stanno portando avanti una grande indagine per fornirci gli elementi scientifici necessari ad affrontare il problema.
In questa zona – ha aggiuto Germani – abbiamo investito molto sull’ambiente la cui salvaguardia ci interessa particolarmente. Oggi dovremo capire anche dove andare a reperire le risorse e quali prerogative sviluppare, ma anche il percorso per raggiungere gli obiettivi. su cui lavorare che ci siamo prefissati. L’Amministrazione Comunale di Orvieto è a disposizione con tutto quello che può fare possiamo, anche nel contesto del programma del ‘Contratto di Fiume’ che può essere di grande aiuto all’obiettivo di questa azione congiunta”. L’intervento dell’assessore regionale Fernanda Cecchini ha ribadito come l’attività estrattiva sull’Amiata durata per circa 120 anni se da un lato ha sostenuto le stagioni di progresso, a distanza di 40 anni dalla chiusura dell’ultima miniera ad Abbadia San Salvatore, sta procurando preoccupazioni per il livello di sedimenti di mercurio.
L’Umbria – ha spiegato Cecchini è la regione che tra le punte di diamante vanta il paesaggio e l’ambiente e bisogna quindi portare avanti una politica dove il monitoraggio precede l’intervento. E’ un lavoro corposo quello è tra di aggiornamento del piano delle acque e ora comprende anche un’analisi biologica delle stesse. Misura e accortezza da adottare a riguardo è tra gli obbiettivi che ci siamo preposti”.
Diego Zurli, direzione regionale Governo del territorio e Paesaggio, ha posto l’accento sul metodo. “Importante è l’aspetto metodologico che andrebbe replicato come modello anche per altri temi di analoga importanza e io suggerirei ad esempio quello del rischio idraulico“. Poi è intervenuto l’ingegnere Remo Pelillo, Autorità di Bacino del fiume Tevere. “Uno degli aspetti positivi del Piano di indagine è che con questa collaborazione tra enti si passerà dalla valutazione della concentrazione alla valutazione dei carichi, ovvero bisognerà iniziare a prendere in considerazione il problema sulla cognizione dei carichi all’interno del Piano di Indagine, con tutte le complessità che il mercurio comporta”.
Giancarlo Marchetti di ARPA Umbria ha analizzato gli aspetti tecnici del problema. “Bisogna marcare la differenza tra intervento di bonifica e danno ambientale e se esitono le condizioni per intervenire. Il problema del mercurio pare sia iniziato inprevalenza in Toscana dalle miniere del monte Amiata. Da li i detriti sono arrivati al fiume Paglia, poi al Tevere fino al mar Tirreno. Da oltre trent’anni le miniere sono chiuse ma i detriti continuano a venire trasportati.
Bisogna utilizzare 5 unità su cui mappare i tratti interessati da analizzare morfologicamente:
-Tratto del Paglia -Tratto del Monterubiaglio -Tratto di Alviano -Tratto da Alviano a Orte -Tratto da Orte al Tevere. Verranno poi eseguite analisi su alimenti , ortaggi e frutta, per il rischio di irrigazioni con acque contaminate e possibili analisi dell’aria“.

Cesare Fagotti di ARPA Toscana si è occupato di analisi del monitoraggio. “Il lavoro della Toscana si concentrerà sul reticolato minore per vedere se è ancora attivo un trasporto di mercurio o se c’è solo uno spostamento di detriti”. Prima degli interventi del pubblico e della fine dei lavori, Vito Consoli , Direzione Regionale Ambiente e Sistemi Naturali, ha tirato le fila della mattinata. “Il valore di metodo come è già stato detto è preponderante, problemi ambientali si affrontano in maniera congiunta o non si affrontano per nulla. Quello di oggi è stato un incontro realizzato non alla fine ma durante lo svolgimento dei
lavori, proprio per il suo valore di trasparenza informazione. Per un tema complesso come quello del mercurio nel Paglia sono impossibili interventi da bacchetta magica, ma interventi seri e prudenti che possano limitare il problema e portare fino allo zero l’inquinamento”.

Il Piano di Indagine

Il monitoraggio dovrà: verificare lo stato di contaminazione da  mercurio nei diversi ambiti territoriali e nei principali elementi-bersaglio; ricostruire la dinamica del fenomeno; identificare i potenziali interventi conseguenti ai risultati del piano.

Le possibili Azioni conseguenti ai risultati sono rappresentate da: misure provvisorie e contingibili a tutela della salute umana, compresa l’eventuale rimodulazione di quelle già messe in atto in forma autonoma; identificare le più corrette procedure amministrative d’azione anche ai fini del reperimento delle necessarie risorse economiche; azioni strutturali (qualora necessario) da mettere in campo al fine di riportare le concentrazioni di sostanze inquinanti presenti nel suolo, sottosuolo ed acque sotterranee e superficiali entro soglie tali da non comportare rischio sanitario e garantire l’assenza di esportazione di contaminazione.

Come emerge dalla letteratura scientifica, le origini della presenza del Mercurio nel fiume Paglia risulta principalmente attribuibile alle attività estrattive presenti nell’area sud del Monte Amiata ed ora terminate. Il distretto minerario del monte Amiata ha rappresentato il quarto sito estrattivo al mondo con una produzione di circa 102.000 tonnellate di Mercurio dal 1860 al 1980. Il fiume Paglia ha un ruolo chiave nel trasporto del Mercurio in quanto drena buon parte dell’area mineraria. Il fiume Tevere,  in virtù del contributo proveniente dal Paglia, può essere potenzialmente considerato uno dei maggiori contribuenti alla presenza di Mercurio nel mare Tirreno. Studi scientifici evidenziano che  ad oltre 30 anni dalla chiusura del polo minerario, continuano ad essere presenti sull’ambiente effetti di diffusione, anche a distanza lungo il reticolo idrografico, di Mercurio.

Il Piano di indagine integrato condiviso tra Ambito di Bacino Tevere, le tre Regioni e le tre Arpa è finalizzato a progettare le specifiche attività del monitoraggio previsto dall’art. 8 della Direttiva n. 2000/60/CE integrate con valutazioni ambientali e sanitarie su suolo, sedimenti e alimenti che investono l’intera piana alluvionale del Paglia e la porzione del Tevere a valle della confluenza fino alla traversa di Nazzano.

L’area di indagine è suddivisa in 5 unità, ritenute significativamente omogenee al loro interno. 

Primo tratto: dalle origini sino allo sbocco nella pianura alluvionale di Monterubiaglio Allerona; (caratterizzato da un regime fluviale di carattere tipicamente torrentizio con poco materiale sedimentato). Sarà posta attenzione agli apporti degli affluenti laterali del Paglia provenienti dalle sorgenti primarie di contaminazione ubicate intorno al Monte Amiata.

Secondo tratto: da Monterubiaglio – Allerona sino ad Alviano, caratterizzato da depositi e terrazzamenti alluvionali con un’estensione longitudinale al Paglia fino ad un paio di chilometri.

Terzo tratto: ingresso alla zona umida di Alviano ed uscita Alviano, per verificare la presenza del mercurio nei sedimenti e eventuali dinamiche di accumulo.

Quarto Tratto: dal Tevere dopo Alviano sino alla confluenza con il Fiume Nera ad Orte, caratterizzato da uno scorrimento del fiume a tratti meandriforme in depositi alluvionali consistenti e di buona larghezza.

Quinto Tratto: da Orte, confluenza del Fiume Nera sino all’invaso di Nazzano.

Quanto alle Azioni previste all’interno di ciascuna delle unità saranno i definiti i profili geomorfologici, trasversali al tratto fluviale, con la ricostruzione dei terrazzi e delle aree interessate da alluvioni recenti; sui profili più significativi saranno definiti dei transetti dove eseguire campionamenti nelle varie unità geomorfologiche delle varie matrici ambientali e alimentari quali: Analisi di sedimenti fluviali e di terrazzo; Analisi di acque di pozzo e di fiume; Analisi di ortaggi, frutta; Analisi di Hg in aria e flussi dal suolo; Analisi nei pesci; Attività di phytoscreening.

Costituiscono attività preliminari il: Censimento delle miniere con presenza di cinabro e forni di arrostimento; il Censimento delle gallerie minerarie di drenaggio; la Verifica dello stato amministrativo delle bonifiche; la Valutazione (su tutto il bacino) della presenza di fonti potenziali di origine antropica e la Valutazione di fonti naturali di mercurio e dei livelli dei valori di fondo naturali.


da COMUNE DI ORVIETO (qui il link diretto)

Verifica dello stato di contaminazione da mercurio nelle aste fluviali dei fiumi Paglia e Tevere

Presentato ad Orvieto il Piano di indagine condotta dalle Regioni Umbria, Toscana e Lazio e le rispettive ARPA con il coordinamento dell’Autorità di Bacino del Tevere. Il piano di monitoraggio integrato partirà quest’anno

COMUNICATO STAMPA n. 012/17 G.M. del 09.01.17 
Avviata l’indagine sulla presenza di Mercurio nel Paglia e Tevere 
• Il Piano di indagine è condotto dalle Regioni Umbria, Toscana e Lazio con le rispettive ARPA ed è coordinato dall’Autorità di Bacino del Tevere  
• Gli esiti dell’incontro di informazione pubblica svoltosi oggi ad Orvieto 
(ON/AF) – ORVIETO – Si è svolto questa mattina in Comune l’annunciato incontro di informazione pubblica sulla prima fase del Piano d’indagine nelle aste fluviali del Fiume Paglia e Fiume Tevere per la verifica dello stato di contaminazione da mercurio a conclusione dell’indagine conoscitiva sullo stato di contaminazione da Mercurio dei fiumi Paglia e Tevere coordinata dall’Autorità di Bacino del Tevere con il coinvolgimento delle strutture tecniche delle Regioni Toscana, Umbria e Lazio e delle rispettiva ARPA e la partecipazione del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Infatti, a seguito della richiesta di attivazione della normativa sul danno ambientale, ai sensi dell’art. 309 del D.Lgs. n. 152/06 rivolta dalla Regione Umbria al Ministero dell’Ambiente, e attraverso il coordinamento dell’Autorità di bacino del Tevere, le Regioni Toscana, Umbria e Lazio hanno incaricato le rispettive Agenzie di protezione ambientale (ARPA) di elaborare un piano di indagine integrato per la verifica dello stato di contaminazione da mercurio al fine di progettare le specifiche attività del monitoraggio previsto dalla Direttiva 2000/60/CE integrate con valutazioni ambientali e sanitarie su suolo, sedimenti e alimenti che investono l’intera piano alluvionale del paglia e la porzione del Tevere a valle della confluenza fino alla traversa di Nazzano. 
I lavori, coordinati da Giorgio Cesari – Autorità di bacino del fiume Tevere, sono stati aperti dai saluti del Sindaco di Orvieto, Giuseppe Germani e dall’Assessore regionale Fernanda Cecchini, assenti giustificati da altri impegni istituzionali nelle rispettive regioni, gli Assessori Regionali Federica Fratoni (Toscana) e Mauro Buschini (Lazio) e il rappresentante del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Francesco Gigliani. 
“In questi mesi – ha detto il Sindaco, Giuseppe Germani nel ringraziare i partecipanti – si è lavorato ad un problema che emerge da tempo e rispetto al quale cerchiamo tutti di capire il fenomeno per trovare le soluzioni più idonee. Desidero aprire questa giornata ricordando il Prof. Roberto Minervini che sui temi dell’ambiente si è speso molto e che è scomparso in questi giorni. Oggi cercheremo di entrare su un tema in cui spesso si è parlato a sproposito. Tre regioni che si mettono insieme per affrontarlo è un primo elemento della metodologia che intendiamo portare avanti. Insieme, le tre ARPA stanno portando avanti una grande indagine per fornirci gli elementi scientifici necessari ad affrontare il problema. In questa zona abbiamo investito molto sull’ambiente la cui salvaguardia ci interessa particolarmente. Oggi dovremo capire anche dove andare a reperire le risorse e quali prerogative sviluppare, ma anche il percorso su cui lavorare per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. L’Amministrazione Comunale di Orvieto è a disposizione con tutto quello che può fare possiamo, anche nel contesto del programma del ‘Contratto di Fiume’ che può essere di grande aiuto all’obiettivo di questa azione congiunta”.
“Gli obiettivi sono anche quelli della Regione Umbria – ha affermato l’Assessore All’Ambiente, Fernanda Cecchinima prima di approntare interventi di bonifica occorre capire lo stato delle cose. Siamo una regione che ha tra le sue punte di diamante la qualità dell’ambiente, quindi per noi portare avanti una politica volta a monitorare ed intervenire è straordinariamente importante. Questo lavoro coincide con il piano di aggiornamento della qualità delle acque che comprende un lavoro corposo ed una situazione che vede la maggioranza dei nostri corsi d’acqua attestarsi su caratteristiche positive. L’attività estrattiva sull’Amiata durata per circa 120 anni se da un lato ha sostenuto le stagioni di progresso, a distanza di 40 anni dalla chiusura dell’ultima miniera ad Abbadia San Salvatore, sta procurando preoccupazioni per il livello di sedimenti di mercurio. Rispetto alle preoccupazioni e ai dati reali del territorio è giusto fare sintesi su questo fenomeno e dare informazioni certificate alla comunità perché ci sia la consapevolezza di come stanno le cose. Regioni, ARPA ed Autorità di Bacino hanno il compito di studiare e mettere a disposizione i risultati. Abbiamo fatto quello che le Istituzioni possono fare per mettere al lavoro quanti ne hanno competenza. I primi risultati ci sono e vanno confrontati con altri elementi. Per fare questo occorre l’individuazione delle risorse necessarie”.
Diego Zurli (Regione Umbria) ha posto in evidenza il metodo di lavoro che dovrebbe essere replicato per tutti i vari aspetti riguardanti i fiume Paglia, ovvero: “ci sono più soggetti riuniti per affrontare un sistema complesso che richiede approfondimenti e valutazioni da condividere con altri territori. Sarebbe importante istituire un primo tavolo di lavoro per affrontare in un’ottica più ampia un tema che ha un valore su scala non solo locale ma nazionale. Penso al tema del rischio idraulico, al trasporto dei sedimenti, al tema delle dighe”. Sollecitazione subito accolta dal rappresentante dell’Autorità di bacino del fiume Tevere, Giorgio Cesari. 
Sempre in rappresentanza dell’Autorità di bacino, Remo Pelillo ha ricordato che “siamo in una fase di passaggio tra Bacino e Distretto Idrografico dell’Appennino Centrale. Nel prosieguo di questo importante lavoro di studio, l’indagine dovrà essere allargata al Fiora. Grazie al rapporto di collaborazione e progettazione condivisa tra le varie ARPA e le Regioni si porrà l’accento dalle concentrazioni ai carichi inquinanti che, in qualche modo, vengono inseriti o naturalmente o attraverso le attività umane. La questione dei carichi è essenziale poiché la Commissione Europea su questo aspetto non fa sconti. Questo studio è il primo di una serie di valutazioni. Il valore medio è un valore atteso che non è detto che arrivi. La varianza dei fenomeni naturali insieme al valore medio dà la misura della complessità del sistema. Il piano di indagine consentirà di vedere le misure da attuare già nel 2017. L’inventario delle emissioni degli scarichi è l’altro tema che lo studio dovrà affrontare per controllare le fonti di inquinamento. C’è poi la necessità di allineare il catasto dei prelievi idrici. Come Autorità di Bacino saremo impegnati nel raccordo del lavoro delle tre regioni”.
 
I passaggi operativi della prima indagine documentale realizzata in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze per verificare l’origine e l’entità della presenza di Mercurio, sono stati riassunti dall’Ing. Sandro Posati della Regione Umbria il quale ha ricordato che lo scorso agosto, il Comune di Orvieto ha costituito il gruppo tecnico operativo composto da vari rappresentanti delle Istituzioni con compiti di condivisione, monitoraggio ed informazione al territorio sulle attività tecniche conoscitive messe in atto da varie Amministrazioni  inerenti sia le matrici ambientali che gli eventuali impatti sulla salute pubblica, nonché sulle possibili  ipotesi di intervento per la mitigazione del rischio. In seguito, Arpa Umbria ha sensibilizzato l’Autorità di bacino del Tevere che la stessa ha posto all’ordine del giorno del comitato tecnico alla presenza delle Regioni e del Ministero dell’Ambiente. Le Regioni hanno dato mandato alle Agenzie di protezione ambientale di Toscana, Umbria e Lazio di predisporre un programma di attività condiviso, al fine di esaminare nelle matrici ambientali, e in prima battuta in alcune matrici alimentari, la presenza del mercurio lungo il corso del Fiume Paglia e del Fiume Tevere. Altro tema trattato nel programma di indagine è quello relativo all’uso di tecniche sperimentali per la mitigazione e riduzione della presenza di tale inquinante nelle sue forme più dannose per la salute umana. La Regione Umbria si è impegnata a collaborare e contribuire con 50 mila Euro per annualità 2017 alle varie fasi dello studio. 
Degli obiettivi del monitoraggio vero e proprio, da svilupparsi anche per successive fasi di affinamento in relazione ai risultati intermedi conseguiti, ha parlato Giancarlo Marchetti di ARPA Umbria. 
Il Piano di Indagine
Il monitoraggio dovrà: verificare lo stato di contaminazione da  mercurio nei diversi ambiti territoriali e nei principali elementi-bersaglio; ricostruire la dinamica del fenomeno; identificare i potenziali interventi conseguenti ai risultati del piano.
Le possibili Azioni conseguenti ai risultati sono rappresentate da: misure provvisorie e contingibili a tutela della salute umana, compresa l’eventuale rimodulazione di quelle già messe in atto in forma autonoma; identificare le più corrette procedure amministrative d’azione anche ai fini del reperimento delle necessarie risorse economiche; azioni strutturali (qualora necessario) da mettere in campo al fine di riportare le concentrazioni di sostanze inquinanti presenti nel suolo, sottosuolo ed acque sotterranee e superficiali entro soglie tali da non comportare rischio sanitario e garantire l’assenza di esportazione di contaminazione. 
Come emerge dalla letteratura scientifica, le origini della presenza del Mercurio nel fiume Paglia risulta principalmente attribuibile alle attività estrattive presenti nell’area sud del Monte Amiata ed ora terminate. Il distretto minerario del monte Amiata ha rappresentato il quarto sito estrattivo al mondo con una produzione di circa 102.000 tonnellate di Mercurio dal 1860 al 1980. Il fiume Paglia ha un ruolo chiave nel trasporto del Mercurio in quanto drena buon parte dell’area mineraria. Il fiume Tevere,  in virtù del contributo proveniente dal Paglia, può essere potenzialmente considerato uno dei maggiori contribuenti alla presenza di Mercurio nel mare Tirreno. Studi scientifici evidenziano che  ad oltre 30 anni dalla chiusura del polo minerario, continuano ad essere presenti sull’ambiente effetti di diffusione, anche a distanza lungo il reticolo idrografico, di Mercurio. 
Il Piano di indagine integrato condiviso tra Ambito di Bacino Tevere, le tre Regioni e le tre Arpa è finalizzato a progettare le specifiche attività del monitoraggio previsto dall’art. 8 della Direttiva n. 2000/60/CE integrate con valutazioni ambientali e sanitarie su suolo, sedimenti e alimenti che investono l’intera piana alluvionale del Paglia e la porzione del Tevere a valle della confluenza fino alla traversa di Nazzano.
L’area di indagine è suddivisa in 5 unità, ritenute significativamente omogenee al loro interno. 
Primo tratto: dalle origini sino allo sbocco nella pianura alluvionale di Monterubiaglio Allerona; (caratterizzato da un regime fluviale di carattere tipicamente torrentizio con poco materiale sedimentato). Sarà posta attenzione agli apporti degli affluenti laterali del Paglia provenienti dalle sorgenti primarie di contaminazione ubicate intorno al Monte Amiata.
Secondo tratto: da Monterubiaglio – Allerona sino ad Alviano, caratterizzato da depositi e terrazzamenti alluvionali con un’estensione longitudinale al Paglia fino ad un paio di chilometri.
Terzo tratto: ingresso alla zona umida di Alviano ed uscita Alviano, per verificare la presenza del mercurio nei sedimenti e eventuali dinamiche di accumulo.
Quarto Tratto: dal Tevere dopo Alviano sino alla confluenza con il Fiume Nera ad Orte, caratterizzato da uno scorrimento del fiume a tratti meandriforme in depositi alluvionali consistenti e di buona larghezza.
Quinto Tratto: da Orte, confluenza del Fiume Nera sino all’invaso di Nazzano.
Quanto alle Azioni previste all’interno di ciascuna delle unità saranno i definiti i profili geomorfologici, trasversali al tratto fluviale, con la ricostruzione dei terrazzi e delle aree interessate da alluvioni recenti; sui profili più significativi saranno definiti dei transetti dove eseguire campionamenti nelle varie unità geomorfologiche delle varie matrici ambientali e alimentari quali: Analisi di sedimenti fluviali e di terrazzo; Analisi di acque di pozzo e di fiume; Analisi di ortaggi, frutta; Analisi di Hg in aria e flussi dal suolo; Analisi nei pesci; Attività di phytoscreening.
Costituiscono attività preliminari il: Censimento delle miniere con presenza di cinabro e forni di arrostimento; il Censimento delle gallerie minerarie di drenaggio; la Verifica dello stato amministrativo delle bonifiche; la Valutazione (su tutto il bacino) della presenza di fonti potenziali di origine antropica e la Valutazione di fonti naturali di mercurio e dei livelli dei valori di fondo naturali. 
 “Dal momento che le principali miniere di mercurio del comprensorio dell’Amiata insistono prevalentemente nel fiume Paglia e nel bacino del Fiora, oltre all’attività di monitoraggio e censimento delle miniere e delle gallerie minerarie di drenaggio, e sulla presenza di fonti antropiche – ha poi evidenziato Cesare Fagotti di ARPA Toscana – la Regione Toscana si concentrerà soprattutto nel vedere se c’è ancora un trasporto di mercurio. Il costo complessivo della ricerca è di 253.600 mila euro non ancora tutto finanziato ma in parte sì. Anche Regione Toscana ha deliberato risorse”.
“La recente normativa europea – ha precisato Angiolo Martinelli di ARPA Lazio – ha introdotto per alcune sostanze, tra cui il mercurio, non solo la valutazione attraverso l’acqua ma attraverso tessuti organici (pesci), sarà questa pertanto una indicazione che verrà integrata nel Piano. Si arriverà a prendere in considerazione fenomeni di accumulo e trasferimento, ricostruendo il transito del trasporto di mercurio e in quale forma attraverso stazioni di campionamento. Già nel 2017 si potranno verificare le condizioni di maggiore/minore criticità. Uno studio deve darsi un obiettivo, una tempistica e delle risorse. Questo è il lavoro centrale che dovrà essere integrato da altre conoscenze inerenti il corridoio fluviale. Al fine di verificare tutte le possibili fonti di emissione di mercurio, si sono una serie di strumenti come ad esempio i piani regionali di inquinamento dell’aria. Il quadro delle conoscenze va costruito. Il CNR/Istituto Inquinamento Atmosferico sta procedendo all’aggiornamento dell’inventario delle emissioni che sarà utile per riportare a scala locale le valutazioni che emergono”.
Nel portare i saluti dell’Assessore regionale all’Ambiente della Regione Lazio, il rappresentante della Direzione Regionale Ambiente e Sistemi Naturali, Vito Consoli ha ringraziato l’Autorità di Bacino del Tevere per l’opportunità che è stata data di lavorare unendo tre regioni. “Dal punto di vista ambientale – ha sottolineato – le cose vanno affrontate solo in maniera integrata. Quello di oggi quindi è un incontro molto opportuno che spiega come ci muoveremo. Una metodologia da seguire nel tempo per informare la gente su come si sta andando avanti  in quanto trasparenza significa anche questo, e non parlare soltanto alla fine di un percorso. Quello su cui stiamo lavorando è un piano di indagine serio. Come Regione Lazio lo approveremo prossimamente. Le risorse sono già postate nel bilancio precisando che si tratta delle risorse necessarie a partire. Allo studio dovrà seguire un piano di intervento che dovrà essere altrettanto serio ed anche molto prudente perché si tratta di un problema complesso che richiede un processo di comunicazione e trasparenza”. 
 
La fase del dibattito, prevista a conclusione dell’incontro informativo, è stata arricchita dai contributi di:
Francesco Biondi (geologo) che ha detto di aspettarsi un maggiore coinvolgimento delle Associazioni. “Colpisce – ha aggiunto – la pochezza dei soldi che vengono elargiti dalle Regioni: 50 mila euro sono briciole. Le regioni, se comprendono veramente il problema, devono investire di più. il mio è un appello in questa direzione dimostrando di voler portare avanti un impegno serio”.
 
“Le azioni coordinate dal basso hanno prodotto dei risultati – ha detto Endro Martini coordinamento tecnico del “Contratto di fiume Paglia” affidato ad Alta Scuola – dato che il tema è interregionale è in calendario l’idea di chiedere un comitato istituzionale dell’Autorità di Bacino affinché da questa istituzione venga un cofinanziamento del progetto. Sarebbe auspicabile che anche nel lavoro del contratto di fiume articolato su quattro tavoli tematici, proseguisse il modo di lavorare insieme. Infatti all’interno del Contratto di Fiume potrebbero essere affrontate altre tematiche pari a quella del mercurio. Da ultimo sarebbe interessante sensibilizzare le tre regioni per una indagine parallela da farsi da parte delle USL sulle patologie mercurio collegate”.
 
“L’Autorità di Bacino è presente nei contratti di fiume – ha precisato Giorgio Cesariil comitato istituzionale è stato richiesto da questa Autorità al Ministero Ambiente. La questione partecipativa è prevista mentre la direttiva sul monitoraggio prevede il raccordo con il Ministero della Sanità. Stiamo parlando di un piano di indagine che è stato avviato. Abbiamo previsto di individuare altri momenti di partecipazione pubblica insieme con le altre regioni”.
 
“Esiste il problema storico e quello del completamento della bonifica dell’area mineraria dell’Amiata su cui tutte le tre regioni devono insistere – ha sostenuto Velio Arezzini rappresentante del Comitato cittadini di Abbadia San Salvatore – abbiamo chiesto che le bonifiche fossero gestir dai Comuni piuttosto che di Eni, perché è possibile riappropriarsi di pezzi del territorio bonificato. Oggi i responsabili della bonifica sono gli Enti Locali ma le risorse sono insufficienti. Fino ad oggi, nella zona dell’Amiata,  sono stati spesi circa 7 mln e resta fuori il lotto dei forni  i cui lavori dovrebbero iniziare nel 2018. Parlare ancora di inquinamento del Paglia dovuto alla miniera è una cosa ormai in via di superamento, si parla invece molto poco di geotermia che noi al contrario riteniamo sia un fenomeno non trascurabile e molto più inquinante”.
“La corretta metodologia di indagine da estendere in un fascia molto più ampia dell’attuale alveo attivo del fiume non può prescindere dall’analisi storica” ha dichiarato Corrado Cencetti del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia.
“Riconosco l’impegno del Sindaco che, da noi sollecitato, ha promosso questo incontro – ha dichiarato Lucia Vergaglia, Capogruppo M5S al Comune di Orvieto – vorrei sapere se questo studio approfondirà anche l’incidenza sul nostro territorio di alcune patologie riconducibili a determinate sostanze (patologie del sistema neurovegetativo, autismo), ciò al fine delle prevenzione”. Alla domanda ha risposto Giancarlo Marchetti che ha riferito “Il Ministero della salute ha introdotto nel Piano Nazionale della Prevenzione per la prima volta il tema ambiente e salute; anche la regione ha approvato il Piano regionale istituendo un Osservatorio Ambiente e Salute e in quell’ambito andranno confrontati i dati (evidenze di carattere sanitario e evidenze di carattere ambientale per eventuali approfondimenti epidemiologici)”. 
La “raccomandazione affinché i risultati dello studio siano rapidi per fugare ogni ansia fra i cittadini” è giunta da Valentino Maggirappresentante dei pescatori sportivi del bacino del Paglia.  
A conclusione dei lavori, il Sindaco, Giuseppe Germani ha detto: “fino a qualche tempo fa nemmeno sapevamo con chi iniziare ad interloquire, oggi invece possiamo dire di essere finalmente partiti con uno studio scientifico che riguarda un territorio ampio del Centro Italia, effettuato da da tre Regioni. Nella Regione Umbria, nelle altre regioni e nelle ARPA abbiamo trovato le interlocuzioni necessarie. Sulla geotermia mi limito a ricordare che dai Comuni dell’Orvietano è giunto un NO chiaro. Dovremo impegnarci ancora per far sì che la pratica della condivisione fra le Istituzioni diventi una metodologia di lavoro ricorrente”. 
 

SCARICA IL “Piano di indagine nelle aste fluviali del F. Paglia e F. Tevere per la verifica dello stato di contaminazione da mercurio”

 

La schizofrenia del presidente Rossi sulla geotermia…

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Comunicato stampa della Rete NOGESI (preleva in formato rtf)

Dopo l’esplosione della vicenda Amiata, la geotermia in Italia non ha più consenso sociale nei territori (il problema non è mettere i filtri AMIS, ma cambiare tecnologia!).
Le bugie elettorali di Rossi hanno le gambe corte: le “nuove” norme sulla geotermia sono inconsistenti, si decide -senza bussola- secondo le convenienze politiche…
La Rete NOGESI ha portato nel palazzo del potere lo scorso novembre la sua proposta tecnica e politica: il territorio è di chi lo vive! Il governo –paralizzato- rimanda di mese in mese la riforma del settore votata all’unanimità dalle Commissioni parlamentari.

 

In questo quadro senza regole la Giunta toscana boccia la geotermia a Seggiano ed i suoi uffici, in un territorio di analoghe caratteristiche, “promuovono” le trivellazioni a Monte Labbro (Cinigiano) addirittura -per la prima volta- senza effettuare la usuale procedura di VIA; la Regione il giorno dopo corre ai ripari facendo capire che la Giunta in seguito potrebbe bocciare tale decisione…
Del resto è già successo a Seggiano: gli uffici formulano un parere positivo di compatibilità mentre la Giunta regionale boccia l’impianto con la motivazione, buona per tutte le stagioni, che approvare un progetto o negarlo è “un atto di natura politico –amministrativa che comporta la ponderazione e mediazione di interessi pubblici diversi, quali la tutela dell’ambiente, il governo del territorio e lo sviluppo economico”, nonché “l’utilizzazione razionale delle risorse naturali in ossequio al principio di sviluppo sostenibile”.
(qui la documentazione ufficiale sui permessi citati)

In Umbria e nel Lazio le Giunte regionali sono alla prese con l’approvazione o meno degli

impianti sulla piana dell’Alfina (Castel Giorgio e Torre Alfina): il consiglio regionale dell’Umbria ha posto in approfondimento una mozione che chiede alla Giunta regionale di bocciare l’impianto di Castel Giorgio e di intervenire presso la Giunta del Lazio per bocciare l’altro impianto confinante di Torre Alfina. Del resto nelle due Regioni ben 25 sindaci e consigli comunali si oppongono alla geotermia sullo stupendo altopiano dell’Alfina; anche in Campania i sindaci sono in prima fila contro le perforazioni nell’area dei Campi Flegrei(!).

Contro questa assenza di regole che valutino fino in fondo e con responsabilità l’opportunità di continuare o meno ad incentivare la costosissima energia elettrica prodotta da impianti geotermici inquinanti (anziché produrre calore di cui siamo deficitari e di cui eventualmente la geotermia -con le applicazioni a bassa entalpia-potrebbe essere particolarmente votata), la sperimentazione di impianti che- non muovendo fluidi- riducono fortemente l’inquinamento ambientale (tipo i BHE), le “linee guida” che tutelino veramente i territori, che identifichino le aree potenzialmente sfruttabili, che prevedano il pieno coinvolgimento della amministrazioni e delle popolazioni locali nel processo decisionale favorendo l’applicazione del principio di precauzione, contro un Governo che tace, sperando forse che le Regioni risolvano le problematiche poste dalla estesa opposizione alla geotermia allo scopo di “ridurre” la portata della riforma a cui il Parlamento lo ha chiamato ad intervenire, non ci resta come Rete Nazionale NOGESI che sostenere e sviluppare le lotte territoriali delle popolazioni ed amministratori locali contro quella che una interessata campagna di speculatori in erba chiama la “buona geotermia”.
La Rete Nazionale ha avanzato sin dal 15 ottobre le sue proposte tecniche e politiche e le ha presentate a Roma in Parlamento il 5 novembre, passando dalla protesta alla proposta. Ora è il tempo –di fronte all’inazione del Governo- di tornare nelle piazze, sollecitando i parlamentari che hanno approvato la Risoluzione a chiedere conto al Governo perché vengano rimosse le cause della sua inazione e si proceda verso la riforma del settore, coinvolgendo il mondo delle associazioni, i comuni e le Regioni.

Le prime iniziative dell’anno 2016 contro la geotermia elettrica, speculativa e inquinante: domenica 10 gennaio 2016 assemblea a Monticello Amiata ore 17 (al “Teatrino”) contro la decisione degli uffici regionali su Monte Labro; iniziative sono in programma a Viterbo, Perugia (Consiglio Regionale Umbria) e Roma (Consiglio Regionale Lazio).

NOGESI – Rete Nazionale contro la Geotermia Inquinante e Speculativa

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Il Cittadino online del 9 gennaio 2016:
“La schizofrenia del presidente Rossi sulla geotermia…”
La Rete Nogesi conferma: “Il territorio è di chi lo vive”
…segue ns. comunicato

GoNews.it del 9 gennaio 2016:
Geotermia, la Rete NOGESI: “Ecco la schizofrenia del presidente Rossi”
…segue ns. comunicato

Contropiano.org del 9 gennaio 2016:
La schizofrenia del presidente Rossi sulla geotermia…
…segue ns. comunicato

MaremmaNews del 9 gennaio 2016:
La schizofrenia del presidente Rossi sulla geotermia
…segue ns. comunicato

Abbadianews.it (La Postilla) del 9 gennaio 2016:
Rete Nogesi: “In Italia la GEOTERMIA non ha più il consenso dei territori
…segue ns. comunicato

RadioGiornale.info del 9 gennaio 2016:
La schizofrenia del presidente Rossi sulla geotermia…
…segue ns. comunicato

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Roma, 5 novembre 2015. La Rete NOGESI porta in Parlamento la proposta dei cittadini sulla geotermia

20151105_rm_NOGESI_camera_27Una gran bella giornata per tutti coloro che amano la propria terra!
Pienamente riuscita la giornata sulla geotermia organizzata dalla Rete NOGESI a Montecitorio per il 5 novembre 2015.

La Rete, che coinvolge comitati e cittadini di Toscana, Umbria, Lazio, Campania e Sardegna contrari alla geotermia inquinante e speculativa, smentendo i lobbisti pro-geotermia che continuano a blaterare di nimby, ha presentato una proposta concreta sulla geotermia e su questa si è confrontata con tecnici, scienziati, amministratori locali e parlamentari.

Giova ricordare che la risoluzione approvata all’unanimità il 15 aprile us, nelle Commissioni VIII e X della Camera dei Deputati, n.8-00103, impegna il governo a confrontarsi con i territori per addivenire a regole certe e sicure sulla geotermia. Ad oltre sei mesi da quell’impegno, la Rete intende, con le iniziative intraprese, portare il contributo di tanti territori alla definizione di norme che proteggano ambiente e salute dalla geotermia come oggi la conosciamo, che gode di incentivazioni non giustificate e di una mancanza di regole che lascia libertà alle imprese di trivellare dovunque e in qualsiasi modo.

All’interno della Camera dei Deputati si è quindi svolto un interessante dibattito con la presentazione della Proposta della Rete sulla geotermia e con gli interventi di rappresentanti delle forze politiche, degli amministratori locali, dei tecnici, dei comitati da cui ci sembra emergere, al di là delle diverse peculiarità e qualità, l’esigenza improcrastinabile di regole certe che salvaguardino la salute dei cittadini, le economie locali e l’ambiente.

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Il comunicato della rete NOGESI:

Roma, 5 novembre 2015. La Rete NOGESI porta in Parlamento la proposta dei cittadini sulla geotermia: un appuntamento importante, pienamente riuscito.
La proposta dei cittadini, supportata da autorevoli esperti, portata al massimo vertice, nel palazzo del potere: il territorio è di chi lo vive.

La seconda giornata di mobilitazione contro la geotermia elettrica speculativa e inquinante è stata un vero successo di pubblico confluito da molte regioni italiane ed ha mostrato nelle proposte una coralità ed una maturità elevate: tutti gli aspetti della problematica sono stati sviscerati con l’ausilio di importanti esperti, l’impraticabilità dell’attuale piano del Governo mostrata da moltissimi sindaci ed amministratori presenti.
Attendiamo ora che il Governo faccia la sua parte mandando in soffitta il vecchio piano Berlusconi- Scajola e riformulando la normativa di settore come chiede all’unanimità la Risoluzione parlamentare del 15 aprile scorso delle Commissioni Ambiente e Attività Produttive della Camera dei Deputati. Ad oltre sei mesi da quell’impegno, la Rete intende, con la iniziativa intrapresa, portare il contributo di tanti territori alla definizione di norme che proteggano ambiente e salute dalla geotermia come oggi la conosciamo, che gode di incentivazioni non giustificate e di una mancanza di regole che lascia libertà alle imprese di trivellare dovunque e in qualsiasi modo.
Il tempo concesso è scaduto, il Governo ora operi anche sulla scorta del copioso documento di proposta inviato a metà ottobre dalla Rete NOGESI verso una nuova legislazione del settore, che risolva il problema della scarsa credibilità dell’attuale piano geotermico del Governo. Ed al Parlamento è chiesto di sollecitare il Governo al rispetto degli impegni assunti.
L’iniziativa, che è seguita ad una prima mobilitazione nazionale del 5 marzo 2014 ed a moltissime mobilitazioni territoriali, prevedeva un convegno con la qualificata partecipazione di scienziati, parlamentari, sindaci, avvocati, rappresentanti dei comitati, organizzato presso la Camera dei Deputati, nell’Auletta dei Gruppi Parlamentari, una conferenza stampa ed un presidio in piazza di Montecitorio, pienamente riusciti.
La Rete NOGESI rappresenta il coordinamento nazionale di numerose associazioni sorte nei territori interessati dai progetti di trivellazioni e nuovi impianti geotermici ritenuti dannosi per l’ambiente e le attività economiche presenti nei territori, pericolosi per la salute e la sicurezza idrogeologica: in Toscana, con l’Amiata, la Maremma e la Val d’Orcia; in Umbria e nel Lazio, nell’altopiano dell’Alfina ed aree limitrofe con gli impianti di Castel Giorgio e Torre Alfina; in Campania, con il dramma dei comuni vicini al super-vulcano dei Campi Flegrei in cui si vogliono installare due impianti pilota; in Sardegna, piena di istanze di ricerca geotermiche. Dove da tempo sono coinvolti non solo i cittadini ma anche le amministrazioni locali, con in testa i sindaci, più volte scesi in piazza indossando la fascia tricolore, anche per manifestare un disagio istituzionale verso il piano di privatizzazione selvaggia della geotermia.

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Di seguito riportiamo alcuni resoconti stampa
e la galleria fotografica della giornata.

Corriere di Siena 8/11/15:

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Orvietosì 8/11/15 (link)

Corriere di Siena 7/11/15:

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Il Cittadino online 7/11/15 (link)

I-Siena 7/11/15 (link)

Radiogiornale web 7/11/15 (link)

Aletheia online 7/11/15 (link)

Il Tirreno, 6/11/15:
Geotermia, a Roma per nuove regole
Nogesi chiede linee guida per uno sfruttamento sicuro, Barocci critica il sistema di incentivi: «Deve esserci una ricaduta»
di Francesca Ferri
ROMA. Quanti posti di lavoro si riuscirebbero a creare in un territorio come quello dell’Amiata grossetana se per i prossimi 25 anni gli imprenditori locali ricevessero 775 milioni di euro di incentivi per le loro attività? Quanto turismo si riuscirebbe a calamitare sul “sacro monte”, quante strutture ricettive, quanti ristoranti, percorsi storici, naturalistici, museali si potrebbero aprire? E se una parte di quei soldi andasse ai cittadini per costruirsi impianti di riscaldamento che, con una sonda, portassero in superficie il calore a uso domestico? Quanto lavorerebbero le ditte edili per le ristrutturazioni delle migliaia di edifici presenti sul territorio? E quanto risparmierebbero i cittadini?
Quella di ieri contro la geotermia speculativa e inquinante, organizzata a Roma dalla rete Nogesi e a cui hanno partecipato amministratori e associazioni di Toscana, Lazio, Umbria, Campania e Sardegna, doveva essere una giornata di manifestazione e proposte per ottenere in Italia regole oggi inesistenti per garantire uno sfruttamento del calore della Terra senza rischi per l’ambiente e per l’uomo. Non a caso la prima proposta che il pool di scienziati ed esperti – tra cui il gorssetano Roberto Barocci, portavoce del comitato Sos Geotermia – ha presentato al governo durante il convegno “No alla geotermia, elettrica, speculativa, inquinante. Dalla protesta alla proposta”, è stata quella di mappare il sottosuolo del Belpaese per individuare le aree incompatibili con la geotermia perché sismiche o ricche di bacini d’acqua, e quindi inadatte alle trivellazioni necessarie a costruire i profondi pozzi geotermici.
L’aspetto tecnico, però, non è stato che uno degli argomenti presentati al governo. E forse nemmeno quello più spiazzante. «Quando un governo dà un finanziamento pubblico deve esserci una ricaduta per l’economia: non deve essere una rendita parassitaria per una sola azienda, ovvero l’Enel», spiega Barocci, che da anni denuncia i rischi per la salute e l’ambiente della geotermia sull’Amiata dove Enel Green power ha cinque centrali. Barocci ha chiesto ieri al governo di chiudere gli impianti amiatini e aprire un’inchiesta parlamentare per stabilire se, con le attuali emissioni, siano meritevoli di incentivi.
Enel, per legge, percepisce 100 euro a Megawatt/ora. Secondo una stima mai smentita dall’azienda solo per la centrale di Bagnore 4 a Santa Fiora, dove dichiara di produrre 310 Gigawatt all’anno, Enel percepisce 31 milioni di euro di incentivi l’anno, che per i 25 anni di vita della centrale sono 775 milioni. Ai Comuni geotermici torneranno solo 26 milioni in dieci anni. Barocci, nel suo intervento, non ha usato mezze parole: «Ciò che il governo ha deciso di finanziare è una truffa legalizzata. L’Enel non mette in moto nessun meccanismo virtuoso mentre oggi (ieri per chi legge) il sindaco di Casole d’Elsa, Piero Pii, ha portato i dati aggiornati del peso economico in termini di fatturato, numero di imprese e occupati, di un territorio come il suo dove non ci sono impianti: nessuna industria dell’area senese dà questa ricchezza. È la dimostrazione che una tecnologia che tutela l’ambiente può portare più occupazione. Se quei finanziamenti fossero dati non alla geotermia “flash” delle centrali Enel, ma alle imprese che producono sonde per la geotermia a bassa entalpia, per le ristrutturazioni edilizie, per i pannelli fotovoltaici nelle case, si avrebbe molto più lavoro e una ricaduta in termini di reddito e profitti». Per la cronaca, Bagnore 4 occupa circa 40 persone tra addetti diretti e indiretti, ma non ne ha neanche uno fisso. La richiesta di modificare i criteri di concessione degli incentivi è stata raccolta da Alfonso Pecoraro Scanio, ex ministro all’Ambiente, intervenuto insieme anche ai parlamentari Federica Daga (M5s), Samuele Segoni (Gruppo misto) e Alessandra Terrosi (Pd), oltre a geologi, sindaci, avvocati, rappresentanti di associazioni che si battono per avere certezze su uno sfruttamento geotermico sicuro, rispettoso dell’ambiente e della
volontà delle comunità locali. Ora la parola spetta al governo che ad aprile si era dato sei mesi per elaborare linee guida. Il tempo è scaduto e di proposte non ne ha fatte. Ne hanno fornite ieri le associazioni della rete Nogesi. E i tre parlamentari si sono impegnati a raccomandarle a Renzi.

«No alle centrali, sì al turismo»
Alla giornata antigeotermia ieri a Roma la provincia di Grosseto era presente non solo con l’associazione Sos Geotermia. Il sindaco di Cinigiano, Romina Sani, ha parlato a nome dei sindaci di Amiata…
Alla giornata antigeotermia ieri a Roma la provincia di Grosseto era presente non solo con l’associazione Sos Geotermia. Il sindaco di Cinigiano, Romina Sani, ha parlato a nome dei sindaci di Amiata e Colline del Fiora su cui sono in atto 18 permessi di ricerca per costruire centrali geotermiche a media entalpia. Il sindaco Sani
ha rivendicato l’autonomia nella scelte di sviluppo del territorio, dicendo no alla geotermia e sì al turismo rurale e sulla filiera di prodotti di eccellenza. Presente anche il collega di Seggiano Giampiero Secco e i Meet up del M5s di Pitigliano, Arcidosso e coordinamento Amiata 5 Stelle.

Amiatanews 6/11/15 (link)

La Nazione 6/11/15:

20151106_La Nazione

STAMP Toscana 6/11/15:
Geotermia, “Difensori della Toscana” a Roma: convegno, proposta e presidio
di Stefania Valbonesi
Firenze – Giornata importante, quella di ieri, per il comitato “Difensori della Toscana”, impegnati, insieme a tanti comitati di tutta Italia, in un convegno (cui è seguito un presidio) alla Camera dei Deputati. Oggetto dell’incontro, in cui è stata presentata anche una proposta molto dettagliata, la contrarietà alla “Geotermia Elettrica, Speculativa e Inquinante“. A organizzare l’evento, la Rete nazionale NOGESI. L’iniziativa odierna segue le numerose mobilitazioni territoriali che hanno “scosso” il territorio anche toscano. In questo momento, è in corso infatti una vera e propria “rivolta” nell’Alta Val di Cecina, dove un territorio incontaminato che era riuscito a trovare un equilibrio con le vecchie perforazioni dell’Enel, a seguito delle liberalizzazioni regionali, si trova a dover fare i conti non solo con attività di ricerca sfrenate da parte di multinazionali agguerrite, ma anche al progetto di una centrale che si piazzerebbe proprio sotto Radicondoli, con tutto il suo corredo di infrastrutture e conseguenze sull’ambiente e il paesaggio. Insomma, come ha ben sottolineato il sindaco di Casole d’Elsa Piero Pii, che è intervenuto portando l’esperienza del Comune toscano ( in prima fila per gli interventi pesanti che potrebbero aprirsi proprio a ridosso dell’incantevole territorio in cui si trova), il problema è quello di sferrare una “pedata” forse mortale a quell’economia basata sul turismo, sulla sostenibilità, sulle filiere d’eccellenza che da anni si sta cercando di fare sbocciare. Un tentativo che proprio in questi ultimi anni ha cominciato a dare i suoi frutti e che alimenta un’occupazione sempre più ampia, a confronto con i pochissimi posti di lavoro che la tecnologia sempre più automatizzata delle centrali potrebbe offrire con l’apertura di nuove strutture.
L’iniziativa, che segue ad una prima mobilitazione nazionale del 5 marzo 2014 e alle moltissime mobilitazioni territoriali, è stata organizzata, come anticipato, dalla Rete Nogesi, che rappresenta il coordinamento nazionale delle numerose associazioni di cittadini sorte nei territori interessati dai progetti di trivellazioni e nuovi impianti geotermici: in Toscana, Alta Val di Cecina, l’Amiata, la Maremma e la Val d’Orcia; in Umbria e nel Lazio, l’altopiano dell’Alfina ed aree limitrofe con gli impianti di Castel Giorgio e Torre Alfina; in Campania, dove si sta consumando il dramma dei comuni vicini al super-vulcano dei Campi Flegrei in cui si vogliono installare due impianti pilota; in Sardegna, altro territorio percorso letteralmente dalle linee di ricerca delle multinazionali che sfruttano questa particolare energia.
E ieri, a Roma, erano presenti e sono intervenuti i rappresentanti di tutti i territori italiani interessati dai permessi di ricerca (permessi concessi dalle Regioni, a seguito della liberalizzazione dell’energia), che, oltre alla “protesta”, hanno presentato la “proposta”; in un’atmosfera propositiva, seria e competente (tanti gli scienziati, i geologi fra cui il presidente dell’ordine dei geologi toscani Mauro Chessa, fra i relatori della proposta) è stato presentato quello che gli stessi promotori hanno dichiarato “un punto di partenza”: un documento dettagliato e preciso, che è nato “dalla piena considerazione della volontà dei cittadini dei territorio coinvolti e il loro completo coinvolgimento nei processi decisionali”.
Un documento complesso e completo, come si evince anche dalla semplice scorsa dell’indice. Premessa a parte, sono otto i punti in cui si articola la proposta: 1.Proposta relativa alla zonazione e linee guida (contributo gruppo di lavoro coordinato dal Prof. Claudio Margottini) 2. Proposta relativa alle produzioni agricole di particolare qualità e tipicità ed aree ad economia diffusa (contributo dei Dr. Piero Pii e Ing. Gianpiero Secco) 3.Proposta relativa alla geotermia a bassa entalpia (contributo Rete NOGESI) 4.Proposta relativa alla revisione dei meccanismi incentivanti (contributo Ing. Monica Tommasi) 5.Proposta relativa al coinvolgimento dei territori nelle procedure autorizzative (contributo Dr. Fausto Carotenuto) 6. Proposta relativa ai requisiti di capacità economica e tecnica delle società proponenti (contributo Dr. Fausto Carotenuto) 7.Proposta relativa al tema delle tecnologie geotermiche (contributo Ing. Giorgio Santucci) 8.Proposta relativa al problema geotermia in Amiata (contributo di SOS Geotermia).
Un documento che dovrebbe costituire una “base” per l’azione che il Governo mette in atto a seguito dell’approvazione, avvenuto all’unanimità nel 15.04.2015, in seno alle Commissioni Ambiente (VIII) ed Attività Produttive (X) della Camera dei Deputati, della Risoluzione n. 8-00103 «Produzione di energia da impianti geotermici». Una risoluzione che impegna il Governo “a ben 12 azioni tra norme tecniche e normative allo scopo di rendere, dal punto di vista ambientale e sociale, accettabili nei territori gli inserimenti degli impianti utilizzanti la fonte geotermica”.
Ed ecco dove si inserisce la proposta: “Le azioni del Governo – si legge nella premessa – dovranno riguardare sia l’emanazione di nuove norme tecniche e amministrative, sia di nuovi aspetti procedurali richiesti dalla Risoluzione. Sulle prime si articolerà la nostra proposta, mentre per i secondi non possiamo che richiedere l’adesione cogente da parte del Governo ai contenuti della Risoluzione”.

Orvieto News 6/11/15:
Geotermia. Segoni (Al): “Il Governo ascolti le proposte dei Comitati. I territori non siano scavalcati”
“Il Governo faccia uscire le linee guida ma acquisisca prima le proposte dei comitati. La geotermia come fonte di energia è necessaria, dobbiamo incrementarne l’uso per la lotta ai cambiamenti climatici e per accrescere l’utilizzo delle energie rinnovabili nel nostro Paese ma è importante valutare anche il dove e come siano realizzati gli impianti. E’ necessario poi rispettare le scelte dei territori, anche quelli che dicono “no”: troppo spesso le decisioni sono prese lontano e i cittadini scavalcati. Se ci sono progetti buoni, l’impresa si prenda l’onere di spiegarne le ragioni”.
Lo ha detto Samuele Segoni, deputato di Alternativa Libera e membro della Commissione Ambiente, intervenendo al convegno della Rete Nazionale NOGESI (Geotermia elettrica speculativa e inquinante) che si è svolto giovedì 5 novembre presso l’Auletta dei Gruppi Parlamentari in via di Campo Marzio 74.
L’on. Segoni, ha recentemente presentato un’interrogazione al Ministero dello Sviluppo Economico per sapere quali siano le cause del ritardo nella definizione delle “Linee Guida” che permetterebbero l’affermazione di una filiera geotermica sostenibile e pienamente compatibile con le peculiarità socioeconomiche e ambientali del territorio. Inoltre, ha chiesto che il Ministero sfrutti questo ritardo per pretendere in considerazione le proposte elaborate dai vari portatori d’interesse.

Meteoweb 5/11/15:
“No Gesi”, a Montecitorio la protesta contro la geotermia elettrica, speculativa e inquinante
di Peppe Caridi
Nuova giornata di protesta per la rete nazionale No Gesi, contro la ‘geotermia elettrica, speculativa e inquinante’, per dire ‘no’ ai nuovi progetti di trivellazioni e nuovi impianti geotermici sul territorio italiano. Un presidio a Piazza Montecitorio a Roma, sotto la Camera dei deputati, per protestare contro interventi ritenuti dannosi non solo per l’ambiente e le attivita’ economiche presenti nei territori, ma anche per la salute e la sicurezza idrogeologica del Paese. La proposta e’ quella di nuove linee guida che applichino maggior cautela nell’autorizzazione degli impianti e nella scelta delle aree.
“La rete e’ contraria a una geotermia elettrica nella sua parte speculativa e inquinante, non e’ contraria alla geotermia” spiega Fausto Carotenuto, portavoce della rete nazionale No Gesi, sottolineando come siano stati pero’ presentati “una serie di proposte sul terrintorio nazionale, in posti pericolosissimi come Ischia, i Campi Flegrei, l’Amiata e altri ancora, per istallazioni geotermiche che possono creare terremoti e inquinamento delle falde acquifere”. Inoltre, queste “attivita’ industriali spesso cozzano con le attitudini del territorio al turismo e all’agricoltura di qualita’” aggiunge Carotenuto.
Dopo il convegno organizzato questa mattina alla Camera, a cui hanno partecipato scienziati, parlamentari, sindaci, avvocati e rappresentanti dei comitati, dalle 15 i No Gesi si sono radunati in un presidio in piazza per ribadire il ‘no’ a progetti di trivellazioni e nuovi impianti in Toscana, con l’Amiata, la Maremma e la Val d’Orcia; in Umbria e nel Lazio, nell’altopiano dell’Alfina ed aree limitrofe con gli impianti di Castel Giorgio e Torre Alfina; in Campania, con i comuni vicini al super-vulcano dei Campi Flegrei in cui si vogliono installare due impianti pilota; in Sardegna, dove sono state presentate istanze di ricerca geotermiche.
“In questa fase il Governo dovrebbe predisporre delle linee guida per le cautele e le zone in cui fare la geotermia, ma ancora non l’ha fatto- prosegue Carotenuto- quindi noi oggi abbiamo proposto delle linee guida nostre”. La questione ruota intorno agli studi preliminari alla costruzione di 10 nuovi impianti pilota. La rete No Gesi non si schiera contro la geotermia, ma e’ per “una geotermia non rischiosa, non impattante e utile, ma bisogna definire le aree in cui questo si puo’ fare”, ribadisce il portavoce. Gli studi preliminari “sono stati fatti male perche’ c’erano molti conflitti di interesse e sono stati valutati male dalle autorita’, sia allo Sviluppo economico sia all’Ambiente” conclude Carotenuto.

Agenzia stampa DIRE 5/11/15:

ENERGIA. NO GESI: STOP GEOTERMIA MEDIA ENTALPIA RISCHIO SISMA E INQUINA
LA DENUNCIA: NASCONO SOLO PER SPECULAZIONE, RISCHIO VOCAZIONE AREE
(DIRE) Roma, 5 nov. – Fermare i nuovi impianti geotermici a media
entalpia di seconda generazione, quelli in mezzo tra il ‘piu’
caldo’ e il ‘piu’ freddo’, perche’ nascono con intento puramente
speculativo e creano tre rischi per il territorio: quello
sismico, quello dell’inquinamento e quello legato a un’offesa al
paesaggio e alle vocazioni turistiche e delle eccellenze
agroalimentari. E’ questo – in estrema sintesi – l’allarme che
lancia la ‘Rete nazionale no geotermia elettrica speculativa e
inquinante’, in breve No Gesi.
Innanzitutto va detto che all’indice c’e’ la geotermia a media
entalpia sfruttata in impianti binari. I rischi che denuncia la
rete sono terremoti superiori al 3^ grado che possono colpire
aree rurali con edilizia fragile, risalita di gas anche
pericolosi, risalita di fluidi inquinanti, impatto devastante sul
paesaggio con impianti che ricordano piccole raffinerie.
“La vulgata e’ che la geotermia sia una tecnologia rinnovabile
e pulita- spiega Fausto Carotenuto, del Comitato difesa salute e
ambiente Castel Giorgio, a nome dei No Gesi- cosi’ la propongono,
poi si nota uno strano atteggiamento da parte di chi propone
l’impianto: non vogliono convincere la popolazione, vogliono
imporlo”. Coinvolti i geologi, “li’ per li’ anche loro dicono che
va bene- prosegue Carotenuto- poi quando esaminano il progetto
emergono i rischi che non sono evidenziati: sismi fino al 3^
grado minimo, risalita di gas e fluidi”.
“L’idea che e’ stata diffusa e’ che questi
impianti siano una sorta di termosifone, ma cosi’ non e’-
prosegue Fausto Carotenuto, a nome dei No Gesi- ci sono un pozzo
di immissione e uno di estrazione, e sotto si da’ per assunto che
vi sia un serbatoio impermeabile. Ma i dati nascondono – con
aspetti di conflitto di interesse, legalita’ e possibile frode –
il fatto che lo strato sotterraneo e’ permeabilissimo”. Quindi,
“qualsiasi cosa si faccia non solo produce sismi, crea risalita
di fluidi e gas”, aggiunge Carotenuto.
Infatti, spiega Giorgio Santucci, fondatore dell’Egs
Association, “il giacimento ha una certa pressione e temperatura
ed e’ in equilibriao, quindi gas, metalli, solafti e solfuri
restano li’. Quando attivo l’impianto in superficie riduco
pressione e temperatura e modifico, e visto che il caprock, il
tetto di roccia sopra il giacimento e’ impermeabile all’acqua ma
non ai gas, se riduco la pressione i gas incondensabili vanno su,
se riduco la temperatura i materiali decadono, e i gas vanno in
superficie su tutta l’area del giacimento” e “ci sono gas
venefici” come vapori di mercurio, arsenico e antimonio e poi
idrogeno solforato, ammoniaca e CO2.
Ma chi li vuole realizzare questi impianti?
“Bisogna fare una grossa distinzione fra le geotermie ad alta,
media e bassa entalpia- spiega Giampiero Secco, Sindaco di
Seggiano (Grosseto)- ci sono il metodo flash che e’ tipico
dell’alta entalpia e il metodo binario che e’ appannaggio della
media, del tutto diversi”. In Italia “l’alta entalpia e’
appannaggio dell’Enel in modo monopolistico mentre la media
entalpia binaria grazie alla legge Scajola del Berlusconi IV e’
in mano a privati” (Dm 6 luglio 2012, ndr).
Cio’ detto, “fatto salvo il tema del controllo” le centrali ad
alta entalpia “sono fatto industriale” e creano lavoro, ma “trovo
molto piu’ subdolo il discorso della media entalpia”, aggiunge
Secco, perche’ per fare un esempio “il pozzo di una centrale a
media entalpia costa 4 milioni e l’impianto produce 4-6 MegaWatt:
ma quanto costa un MW? Si giustifica solo per gli incentivi”.
Incentivi che per la media entalpia “ammontanto a 4 volte gli
incentivi dell’alta entalpia”, dice il Sindaco.
“Si capisce tutto”, riassumendo: “si spendono tra i 25 e i 30
milioni per fare un impianto da 5 MW, una stupidaggine e se ne
incassano fra i 125 e i 150 milioni”, aggiunge Fausto Carotenuto,
a nome dei No Gesi. “Gli incentivi sono garantiti per 25 anni-
aggiunge Secco- e questi signori, che non sono dei gestori, vanno
in banca e si fanno dare il valore attuale delle 25 annualita’,
ricavando il cash”.
Cio’ detto, “facciamo i nomi degli azionisti- conclude il
Sindaco di Seggiano- Sorgenia di De Benedetti, Moratti,
Maccaferri, Romiti jr: sono tutti finanzieri, la legge c’e’, loro
lavorano in modo lecito e la sfruttano”, e per queste attivita’
“hanno creato societa’ ad hoc con capitale sociale tra 10 e
12mila euro per un buco da 4 milioni e impianti da 25 milioni,
con la loro esperienza non provata”.

AMBIENTE. COMITATI AMIATA: GEOTERMIA INQUINA PIÙ DI CARBONE
PORTAVOCE BAROCCI: ‘CHIEDIAMO UN’INDAGINE PARLAMENTARE’
(DIRE) Roma, 5 nov. – “La geotermia dell’Amiata ha dei caratteri
esclusivi e particolari legati alla natura geologica del
territorio”, per questo nella zona del Monte Amiata “i gas che
escono in atmosfera sono particolarmente pericolosi,
climalteranti, molto di piu’ delle centrali a gas, piu’
climalteranti delle centrali a carbone”. A dirlo e’ Roberto
Barocci, portavoce del coordinamento Sos geotermia dell’Amiata,
oggi in piazza con la rete nazionale No gesi per protestare
contro il progetto di 10 nuovi impianti pilota geotermici in
Italia. Il Monte Amiata, in Toscana, ospita gia’ 5 centrali
geotermiche attive, gestite da Enel Green Power, delle 34
presenti sul territorio regionale.
“Il Parlamento ha deciso di finanziare le energie pulite e noi
chiediamo che questi fondi vadano davvero alle energie pulite, e
non a un’industria che produce piu’ gas climalteranti delle
centrali a carbone” prosegue Barocci, che spiega come sia stata
chiesta “un’indagine parlamentare” a seguito di “studi di
autorevoli professori universitari e geologi che sostengono
queste cose. È bene che il parlamento faccia un’inchiesta e
acquisisca queste informazioni e rimuova una truffa legalizzata-
conclude Barocci- Perche’ il Governo non puo’ dare questi
finanziamenti a chi inquina e chi peggiora la situazione
ambientale e sanitaria del Paese”.

ENERGIA. SECCO (SEGGIANO): PERICOLI GEOTERMIA MEDIA ENTALPIA NON LAVORO
RISCHIO SISMICO E INQUINAMENTO ACQUA, E DANNI A VOCAZIONE TERRITORIO
(DIRE) Roma, 5 nov. – Dalla diffusione delle centrali geotermiche
a media entalpia e tecnologia binaria “ci aspettiamo un ritorno
estremamente negativo, questi impianti non generano di fatto
posti di lavoro ma anzi corriamo il rischio di vederne togliere a
quella struttura economica che nel tempo siamo riusciti a creare
con i prodotti di qualita’ e con il turismo a prezzo di sacrifici
e sforzi, e dei quali solo oggi cominciamo a cogliere i
vantaggi”. Giampiero Secco, Sindaco di Seggiano (Grosseto), lo
dice a margine del convegno ‘No alla geotermia elettrica,
speculativa e inquinante’, oggi alla Camera.
“Seggiano e’ un piccolo comune alla falde del monte Amiata,
uno dei principali bacini geotermici d’Italia con grandi impianti
di produzione ad alta entalpia- spiega Secco- oggi, pero’, non
vogliamo parlare di questi ma della minaccia della diffusione
della media entalpia”. Si tratta di “piccole centrali di 4-6
MegaWatt che generano un impatto sul territorio forse addirittura
piu’ importante delle grandi centrali, che sono di fatto
un’iniziativa industriale”, spiega il Sindaco di Seggiano.
Da questi impianti “abbiamo una produzione ridottissima,
rischi di sismicita’, rischi di impatto sulle falde acquifere-
aggiunge Secco- e soprattutto un grandissimo impatto visivo ma
soprattutto sonoro sulle nostre zone, dedite alle coltivazioni di
prodotti di altissima qualita’ e al turismo di massima fascia”.

ENERGIA. GARBINI (CASTEL GIORGIO): GEOTERMIA ‘MEDIA’ È RISCHIO ARSENICO
 SIAMO IN ALTOPIANO ALFINA TRA SI-VT-TR E DIAMO ACQUA A LAGO BOLSENA
(DIRE) Roma, 5 nov. – “Per noi, andare a toccare queste
formazioni gassose nel territorio, rischiando di inquinare con
l’arsenico la gia’ precaria situazione delle falde acquifere, e’
una cosa impossibile”. Andrea Garbini, Sindaco di Castel Giorgio
(Terni), lo dice a margine del convegno ‘No alla geotermia
elettrica, speculativa e inquinante’, oggi alla Camera.
“Sul nostro territorio sono tre anni che lottiamo contro
questo tipo di impianto geotermico- spiega Garbini- combattiamo
perche’ secondo le nostre valutazioni tecniche, fatte da
specialisti, questo impianto per come e’ concepito e’ ad alto
rischio”.
Si paventa infatti un “alto rischio di sismicita’, che nessun
Sindaco puo’ accettare, considerando pure che il nostro e’ un
patrimonio architettonico non adeguato ai canoni sismici
moderni”, spiega il primo cittadino di Castel Giorgio, “poi
abbiamo il grande rischio dell’inquinamento delle falde
acquifere”.
Infatti, “l’Altopiano dell’Alfina, dove si trova Castel
Giorgio, un crocevia tra le province di Siena, Viterbo e Terni,
e’ una zona acquifera sensibile e forniamo l’acqua a tutto l’alto
orvietano- sottolinea Garbini- cosa piu’ importante, forniamo
acqua al lago di Bolsena, un punto di riferimento tursitico
strategico”.
L’inquinamento delle falde acquifere “crea difficolta’ gia’
ora nel viterbese, con la presenza di arsenico- conclude Garbini-
quindi per noi, andare a toccare queste formazioni gassose nel
territorio rischiando di inquinare con l’arsenico la gia’
precaria situazione delle falde acquifere, e’ una cosa
impossibile”.

ENERGIA. NO GEOTERMIA ALLA CAMERA, ALLARME CAMPI FLEGREI
VULCANOLOGO MASTROLORENZO: PERICOLO TRIVELLE, RISCHIANO IN 3 MLN
(DIRE) Roma, 5 nov. – Perforare l’area del “super vulcano dei
Campi Flegrei, il vulcano a piu’ alto rischio al mondo con almeno
3 milioni di persone esposte” per sviluppare un progetto di
geotermia a media entalpia e’ “una cosa pericolosissima per i
rischi di sequenze sismiche, esplosioni freatiche dovute a rapida
vaporizzazione dell’acqua con rapida emissione di vapore,
subsidenza, dispersione di gas nella piana di Agnano, densamente
popolata, e addirittura con il rischio che possa risalire il
magma in quest’area, il centro del vulcano piu’ pericoloso al
mondo”. Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo, primo ricercatore,
dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv, lancia l’allarme parlando
“a titolo personale”, precisa, a margine del convegno ‘No alla
geotermia elettrica, speculativa e inquinante’, oggi alla Camera.
La richiesta e’ ovviamente quella di fermare il progetto pilota
“che dovra’ superare la Valutazione di impatto ambientale al
ministero dell’Ambiente- dice il vulcanologo- e speriamo non la
superi anche grazie alle mie osservazioni, e’ pericolosissimo”.
Mastrolorenzo precisa di parlare a titolo personale e non
dell’Osservatorio Vesuviano, ma ricorda ancora una volta che
l’area dei Campi Flegrei “e’ l’area a piu’ alto rischio al mondo,
universalmente riconosciuta come il vulcano piu’ pericoloso al
mondo, perche’ il rischio e’ il prodotto della pericolosita’ per
il bene esposto, e li’ ci sono 3 milioni di persone esposte”.

ENERGIA. RETE NO GESI IN PIAZZA, NO IMPIANTI GEOTERMIA PERICOLOSI
NON CONTRO TECNOLOGIA MA CONTRO STUDI FATTI MALE. ORA NUOVE LINEE GUIDA
(DIRE) Roma, 5 nov. – Nuova giornata di protesta per la rete
nazionale No Gesi, contro la ‘geotermia elettrica, speculativa e
inquinante’, per dire ‘no’ ai nuovi progetti di trivellazioni e
nuovi impianti geotermici sul territorio italiano. Un presidio a
Piazza Montecitorio a Roma, sotto la Camera dei deputati, per
protestare contro interventi ritenuti dannosi non solo per
l’ambiente e le attivita’ economiche presenti nei territori, ma
anche per la salute e la sicurezza idrogeologica del Paese. La
proposta e’ quella di nuove linee guida che applichino maggior
cautela nell’autorizzazione degli impianti e nella scelta delle
aree.
“La rete e’ contraria a una geotermia elettrica nella sua
parte speculativa e inquinante, non e’ contraria alla geotermia”
spiega Fausto Carotenuto, portavoce della rete nazionale No Gesi,
sottolineando come siano stati pero’ presentati “una serie di
proposte sul terrintorio nazionale, in posti pericolosissimi come
Ischia, i Campi Flegrei, l’Amiata e altri ancora, per
istallazioni geotermiche che possono creare terremoti e
inquinamento delle falde acquifere”. Inoltre, queste “attivita’
industriali spesso cozzano con le attitudini del territorio al
turismo e all’agricoltura di qualita’” aggiunge Carotenuto.
Dopo il convegno organizzato questa mattina
alla Camera, a cui hanno partecipato scienziati, parlamentari,
sindaci, avvocati e rappresentanti dei comitati, dalle 15 i No
Gesi si sono radunati in un presidio in piazza per ribadire il
‘no’ a progetti di trivellazioni e nuovi impianti in Toscana, con
l’Amiata, la Maremma e la Val d’Orcia; in Umbria e nel Lazio,
nell’altopiano dell’Alfina ed aree limitrofe con gli impianti di
Castel Giorgio e Torre Alfina; in Campania, con i comuni vicini
al super-vulcano dei Campi Flegrei in cui si vogliono installare
due impianti pilota; in Sardegna, dove sono state presentate
istanze di ricerca geotermiche.
“In questa fase il Governo dovrebbe predisporre delle linee
guida per le cautele e le zone in cui fare la geotermia, ma
ancora non l’ha fatto- prosegue Fausto Carotenuto, portavoce
della rete nazionale No Gesi- quindi noi oggi abbiamo proposto
delle linee guida nostre”.
La questione ruota intorno agli studi preliminari alla
costruzione di 10 nuovi impianti pilota. La rete No Gesi non si
schiera contro la geotermia, ma e’ per “una geotermia non
rischiosa, non impattante e utile, ma bisogna definire le aree in
cui questo si puo’ fare”, ribadisce il portavoce. Gli studi
preliminari “sono stati fatti male perche’ c’erano molti
conflitti di interesse e sono stati valutati male dalle
autorita’, sia allo Sviluppo economico sia all’Ambiente” conclude
Carotenuto.

UMBRIA. AMBIENTE, SINDACO CASTELGIORGIO: NO IMPIANTO GEOTERMIA
PROTESTA ALLA CAMERA: “PERICOLI SISMICI E SU FALDE DI 3 PROVINCE”
(DIRE) Roma, 5 nov. – No all’impianto pilota geotermico a Castel
Giorgio, in Umbria. Una zona “crocevia tra le province di Siena,
Viterbo e Terni” che fornisce acqua al lago di Bolsena e la cui
attivita’, andando “a toccare formazioni gassose nel territorio”
rischierebbe “di inquinare con l’arsenico gia’ presente nel
viterbese la gia’ precaria situazione delle falde acquifere”. Con
la rete nazionale No Gesi, oggi in piazza a Roma per ribadire la
sua contrarieta’ alla proposta di costruzione di 10 nuovi
impianti pilota geotermoelettrici in Italia, c’e’ anche Andrea
Garbini, sindaco del comune umbro.
A Castel Giorgio “dovrebbe sorgere il primo impianto pilota
geotermico d’Italia. Stiamo combattendo da tre anni per evitare
la realizzazione di questo tipo di impianto perche’ secondo i
nostri tecnici ci sono una serie di problematiche alle quali non
abbiamo avuto risposta”, spiega il sindaco.
Tra i rischi denunciati, quelli sismici e idrogeologici. “Una
delle problematiche piu’ importanti e’ la sismicita’ che questo
tipo di impianti potrebbe creare- sottolinea Garbini- C’e’ poi un
problema di falde acquifere. Noi siamo sull’altopiano dell’Alfina
e siamo un territorio definito ‘sensibile acquifero’, cioe’ diamo
l’acqua a tutto il territorio dell’alto orvietano e siamo parte
degli affluenti del Lago di Bolsena. Questo impianto potrebbe
creare un aumento delle sostanze tossiche nell’acqua”.
Gli studi preliminari fatti per autorizzare i nuovi impianti
sono “superficiali” secondo il sindaco, che mette in dubbio
“l’affidabilita’ delle aziende” che “non parlano con il
territorio, ma vanno avanti a denunce”.

ENERGIA. SEGONI (AL): GEOTERMIA, GOVERNO ASCOLTI COMITATI
I TERRITORI NON SIANO SCAVALCATI
(DIRE) Roma, 5 nov. – “Il Governo faccia uscire le linee guida ma
acquisisca prima le proposte dei comitati. La geotermia come
fonte di energia e’ necessaria, dobbiamo incrementarne l’uso per
la lotta ai cambiamenti climatici e per accrescere l’utilizzo
delle energie rinnovabili nel nostro Paese ma e’ importante
valutare anche il dove e come siano realizzati gli impianti. E’
necessario poi rispettare le scelte dei territori, anche quelli
che dicono ‘no’: troppo spesso le decisioni sono prese lontano e
i cittadini scavalcati. Se ci sono progetti buoni, l’impresa si
prenda l’onere di spiegarne le ragioni”. Lo dice Samuele Segoni,
deputato di Alternativa Libera e membro della commissione
Ambiente, intervenendo al convegno della Rete Nazionale No Gesi
(Geotermia elettrica speculativa e inquinante) di oggi alla
Camera.
Segoni ha recentemente presentato un’interrogazione al
ministero dello Sviluppo Economico – spiega una nota – per sapere
quali siano le cause del ritardo nella definizione delle ‘Linee
Guida’ che permetterebbero l’affermazione di una filiera
geotermica sostenibile e pienamente compatibile con le
peculiarita’ socioeconomiche e ambientali del territorio.
Inoltre, ha chiesto che il ministero sfrutti questo ritardo per
pretendere in considerazione le proposte elaborate dai vari
portatori d’interesse.

UMBRIA. AMBIENTE, SINDACO CASTELGIORGIO: NO IMPIANTO GEOTERMIA
(DIRE) Roma, 5 nov. – Si paventa insomma un “alto rischio di
sismicita’, che nessun Sindaco puo’ accettare, considerando pure
che il nostro e’ un patrimonio architettonico non adeguato ai
canoni sismici moderni”, spiega il primo cittadino di Castel
Giorgio, “poi abbiamo il grande rischio dell’inquinamento delle
falde acquifere”.
Infatti, “l’Altopiano dell’Alfina, dove si trova Castel
Giorgio, un crocevia tra le province di Siena, Viterbo e Terni,
e’ una zona acquifera sensibile e forniamo l’acqua a tutto l’alto
orvietano- sottolinea Garbini- cosa piu’ importante, forniamo
acqua al lago di Bolsena, un punto di riferimento tursitico
strategico”.
L’inquinamento delle falde acquifere “crea difficolta’ gia’
ora nel viterbese, con la presenza di arsenico- conclude Garbini-
quindi per noi, andare a toccare queste formazioni gassose nel
territorio rischiando di inquinare con l’arsenico la gia’
precaria situazione delle falde acquifere, e’ una cosa
impossibile”.

AMBIENTE. NO UMBRIA A GEOTERMIA: C’È GIÀ ARSENICO VITERBO
PROTESTA ALLA CAMERA: “PERICOLI SISMICI E SU FALDE DI 3 PROVINCE”
(DIRE) Roma, 5 nov. – No all’impianto pilota geotermico a Castel
Giorgio, in Umbria. Una zona “crocevia tra le province di Siena,
Viterbo e Terni” che fornisce acqua al lago di Bolsena e la cui
attivita’, andando “a toccare formazioni gassose nel territorio”
rischierebbe “di inquinare con l’arsenico gia’ presente nel
viterbese la gia’ precaria situazione delle falde acquifere”. Con
la rete nazionale No Gesi, oggi in piazza a Roma per ribadire la
sua contrarieta’ alla proposta di costruzione di 10 nuovi
impianti pilota geotermoelettrici in Italia, c’e’ anche Andrea
Garbini, sindaco del comune umbro.
A Castel Giorgio “dovrebbe sorgere il primo impianto pilota
geotermico d’Italia. Stiamo combattendo da tre anni per evitare
la realizzazione di questo tipo di impianto perche’ secondo i
nostri tecnici ci sono una serie di problematiche alle quali non
abbiamo avuto risposta”, spiega il sindaco.
Tra i rischi denunciati, quelli sismici e idrogeologici. “Una
delle problematiche piu’ importanti e’ la sismicita’ che questo
tipo di impianti potrebbe creare- sottolinea Garbini- C’e’ poi un
problema di falde acquifere. Noi siamo sull’altopiano dell’Alfina
e siamo un territorio definito ‘sensibile acquifero’, cioe’ diamo
l’acqua a tutto il territorio dell’alto orvietano e siamo parte
degli affluenti del Lago di Bolsena. Questo impianto potrebbe
creare un aumento delle sostanze tossiche nell’acqua”.
Gli studi preliminari fatti per autorizzare i nuovi impianti
sono “superficiali” secondo il sindaco, che mette in dubbio
“l’affidabilita’ delle aziende” che “non parlano con il
territorio, ma vanno avanti a denunce”.
Si paventa insomma un “alto rischio di
sismicita’, che nessun Sindaco puo’ accettare, considerando pure
che il nostro e’ un patrimonio architettonico non adeguato ai
canoni sismici moderni”, spiega il primo cittadino di Castel
Giorgio, “poi abbiamo il grande rischio dell’inquinamento delle
falde acquifere”.
Infatti, “l’Altopiano dell’Alfina, dove si trova Castel
Giorgio, un crocevia tra le province di Siena, Viterbo e Terni,
e’ una zona acquifera sensibile e forniamo l’acqua a tutto l’alto
orvietano- sottolinea Garbini- cosa piu’ importante, forniamo
acqua al lago di Bolsena, un punto di riferimento tursitico
strategico”.
L’inquinamento delle falde acquifere “crea difficolta’ gia’
ora nel viterbese, con la presenza di arsenico- conclude Garbini-
quindi per noi, andare a toccare queste formazioni gassose nel
territorio rischiando di inquinare con l’arsenico la gia’
precaria situazione delle falde acquifere, e’ una cosa
impossibile”.

ENERGIA. CNR: GEOTERMIA PULITA, RISCHI RIDOTTI SE STUDI SONO CORRETTI
SCROCCA (IGAG CNR): CON NUOVI IMPIANTI NESSUN IMPATTO SIGNIFICATIVO
(DIRE) Roma, 5 nov. – “La geotermia e’ una fonte di energia
rinnovabile, che possiamo considerare pulita”. A dirlo e’ Davide
Scrocca, ricercatore dell’Istituto di geologia ambientale e
geoingegneria (Igag) del Cnr. Il tema e’ la possibilita’ di
produrre energia elettrica sfruttando il calore della Terra,
tecnologia geotermica che ha in Italia una storia di oltre un
secolo e che la vede ai primi posti in Europa per produzione.
“Noi abbiamo un problema di approvvigionamento energetico e
oggi dipendiamo dai combustibili fossili- prosegue Scrocca-
Dovremmo innanzitutto diminuire la quantita’ di energia che
consumiamo, poi sviluppare le fonti rinnovabili  e diminuire
l’utilizzo del carbone”. In questo scenario, “la geotermia
dovrebbe assumere un ruolo piu’ rilevante” perche’ “ha un pregio
indiscusso, rispetto anche alle altre fonti rinnovabili, una
capacita’ di produzione elevata e costante”, aggiunge.
Il rischio di inquinamento delle falde acquifere superficiali
“non esiste, se gli studi preliminari alla valutazione di impatto
ambientale vengono fatti con attenzione e accuratezza e se le
perforazioni dei pozzi vengono effettuate con le giuste
tecnologie” sostiene Scrocca, che spiega come la geotermia di
moderna generazione non dia alcun problema, “fatti salvi i rischi
imponderabili”.
E per quanto riguarda la sismicita’ indotta, “e’ un problema
che non va trascurato, non va minimizzato, ma neanche troppo
enfatizzato- aggiunge il ricercatore Igag Cnr- le perforazioni
possono provocare dei piccoli eventi sismici, neanche percepibili
dall’uomo. Potrebbero innescarsi fenomeni piu’ forti perforando
in prossimita’ delle faglie, ma questo va tipicamente studiato in
ogni caso nello specifico prima di costruire gli impianti”.
La geotermia e’ un’energia da fonte
rinnovabile, che trae dal vapore prodotto dalle acque meteoriche,
filtrate nel sottosuolo e riscaldate dal magma, l’energia
necessaria a far muovere una turbina che a sua volta produce
energia elettrica, la geotermia ha in passato dato problemi di
forti emissioni nell’atmosfera. E c’e’ chi contesta a questa
tecnologia anche il possibile inquinamento delle falde acquifere
superficiali e la stimolazione di terremoti. Per questo, la
proposta di costruire nuovi impianti in Italia ha creato dissenso
in parte dell’opinione pubblica.
“La produzione di energia geotermica e’ antica. Con il tempo
gli impianti si sono evoluti e oggi hanno un differente impatto
ambientale rispetto al passato- spiega ancora Davide Scrocca,
dell’Igag Cnr- i nuovi progetti  pilota non prevedono nessun
rilascio in atmosfera di gas incondensabili, grazie ad impianti
binari a reiniezione totale. Per questo si puo’ parlare della
geotermia come di un sistema sostenibile, che non produce alcun
impatto ambientale sensibile”.

…e per finire, Madamalamarchesa Enel:

ENERGIA. MONTEMAGGI (ENEL): STUDI DIMOSTRANO GEOTERMIA SOSTENIBILE
NO IMPATTO FALDE ACQUIFERE, NO TERREMOTI: C’E’ STRUMENTALIZZAZIONE
(DIRE) Roma, 5 nov. – “La geotermia produce benefici a tutto
tondo, dal punto di vista sia economico sia ambientale, anche
paragonata alle altre tecnologie rinnovabili. Inoltre, gli
investimenti ricadono direttamente sul territorio nazionale,
perche’ la filiera produttiva rimane tutta nel Paese”. Lo spiega
il Massimo Montemaggi, responsabile geotermia di Enel Green
Power, azienda leader mondiale nel settore geotermoelettrico, con
34 impianti in tre diverse province della Toscana – Pisa,
Grosseto e Siena – dove soddisfa il 30% dei consumi locali, oltre
a diversi progetti negli stati Uniti e in Cile.
La geotermia e’ una risposta alla necessita’ di diminuire le
emissioni e di puntare sulle fonti rinnovabili perche’ “la
risorsa e’ il calore del sottosuolo e questo e’ inesauribile,
almeno in epoche umane”, spiega Montemaggi. Ed e’ “una fonte
costante e pulita”, importante soprattutto in Italia perche’ e’
una delle poche risorse presenti sul territorio per produrre
energia.
A chi parla della geotermia come di una possibile fonte di
inquinamento delle falde acquifere superficiali, Montemaggi
risponde che “ci sono studi, documenti e misurazioni che
dimostrano come non ci sia nessun impatto sulle falde” e parla in
proposito di “grande strumentalizzazione”.
Ultimo punto contestato all’attivita’ geotermica e’ la
possibilita’ di indurre eventi sismici nei territori dove sono
collocati gli impianti. “Sono oltre 200 anni che avvengono
perforazioni, inizialmente per attivita’ chimica e solo poi per
la produzione di energia elettrica, e in questi due secoli non
c’e’ testimonianza di nessuna attivita’ sismica percepibile
dall’uomo indotta dall’attivita’ geotermica” conclude
Montemaggi.
I risultati positivi emergono innanzitutto
dai dati forniti da Enel. “Enel Green Power produce 5,8 miliardi
di kiloWattora e serve circa 2,5 milioni di abitanti, lo stesso
per cui servirebbero 1,4 milioni di tonnellate equivalenti di
petrolio, circa 38 petroliere di media stazza”, afferma Massimo
Montemaggi, il responsabile geotermia di Enel Green Power, che
sottolinea il grande risparmio dal punto di vista economico, ma
anche ambientale.
“Sul piano planetario, la produzione di energia con sistema
geotermico e’ a emissioni zero. Le emissioni degli impianti,
infatti, sono le stesse che produrrebbe naturalmente la Terra, ma
concentrate spazialmente- dice Montemaggi- a livello locale ci
puo’ essere problema per chi e’ vicino agli impianti, ma abbiamo
brevettato un sistema di abbattimento che supera il 95%. In ogni
caso, “il problema generato e’ olfattivo, perche’ si tratta di
emissioni sulfuree, ma non per la salute dei cittadini”, conclude.