Archivio mensile:Febbraio 2022

Approfondimento sullo studio InVetta di R.Barocci (Forum Ambientalista – Sos Geotermia – Rete nazionale NoGESI)

Come annunciato nel comunicato del 14 febbraio scorso, iniziamo la pubblicazione di interventi, analisi e approfondimenti sullo Studio ARS InVETTA.
Il primo contributo è di Roberto Barocci del Forum Ambientalista, membro di Sos Geotermia e della Rete nazionale NoGESI.
Il testo completo, con tutte le note al testo, in formato pdf si può scaricare qui.

 

Sullo Studio InVETTA

L’Agenzia Regionale di Sanità (ARS), che, in riferimento allo studio epidemiologico del CNR/2010, con il suo Direttore dott. Cipriani aveva valutato che: “In estrema sintesi …gli indizi e le prove raccolti evidenziano un quadro epidemiologico nell’area geotermica rassicurante perché simile a quello dei comuni limitrofi non geotermici ed a quello regionale”, ha aggiornato i dati sugli eccessi di mortalità registrati in Amiata.

Eccone alcuni: i tumori negli uomini passano dal + 21% nel decennio 2000-2009, dato che tanto rassicurava il dott. Cipriani, al + 12% dell’ultimo decennio 2008-2017, come si evince dal seguente grafico molto eloquente, dove il valore atteso (100) è quello dei comuni limitrofi collocati nel raggio di 50 Km dall’Amiata:

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Con nostra sorpresa, sempre in riferimento allo studio del 2010 del CNR, l’ARS oggi scrive: “Da questa analisi emerse un quadro piuttosto sfavorevole per numerosi indicatori epidemiologici, sia di mortalità che di morbosità…”.
Meglio tardi che mai, anche se l’errore del 2010 è stato utile all’ENEL per superare la VIA su Bagnore 4.

E questa volta si è iniziato ad individuare una delle possibili concause di questi eccessi.

Infatti, nello Studio InVETTA, a proposito dei risultati registrati in uno studio parallelo a quello già presentato, riportato nel capitolo 4 del Volume 1°, pagine 147-170 dal titolo “Effetti cronici dell’esposizione all’arsenico nelle acque potabili: Studio di coorte residenziale nell’area del Monte Amiata”, si riportano dati impressionanti.

Si tratta di uno Studio su tutti i residenti, che per almeno 15 anni hanno vissuto nei comuni di Piancastagnaio, Abbadia San Salvatore, Arcidosso, Santa Fiora e Castel del Piano, indagati dal 1 gennaio 1998 al 31 dicembre 2019. La coorte di residenti in studio è costituita da 30.910 persone, 14.970 uomini e 15.940 donne, con una accurata ricostruzione della loro storia clinica individuale, della loro storia residenziale e della storia di esposizione alle acque potabili arseniose, ingerite nel periodo 2005-2010 (periodo delle deroghe ai limiti di legge ottenute dall’Acquedotto del Fiora, di cui parleremo di seguito).

I risultati sono stati discussi in funzione di tre livelli di esposizione, ovvero in funzione dei livelli medi delle concentrazioni di Arsenico nelle acque potabili, se inferiore a 5 μg/l, tra i 5 e 10 μg/l e se superiori a 10 μg/l (limite di legge dal 2001).

Trascrivo quanto si legge nel paragrafo 4.4 del Volume 1, eliminando per migliore comprensione i contenuti tra parentesi:

RISULTATI…La Tabella 4.5 mostra i risultati delle analisi di associazione tra le concentrazioni di arsenico nelle acque potabili maggiore a 10 μg/l e gli esiti di mortalità e ricovero, rispetto alla classe di riferimento minore a 10 μg/l …Si evidenzia un eccesso di rischio di mortalità per cause naturali del +7%, associato ad una esposizione ad arsenico maggiore a 10 μg/l, più alto nelle donne +10%, che negli uomini +4%,. Anche la mortalità per tumori maligni risulta in eccesso, ma solo nella popolazione femminile +14%…In analogia con il dato della mortalità, anche i ricoveri per tumori maligni sono risultati in eccesso negli esposti: +10%, maggiore nelle donne +19%. Sempre nelle donne l’eccesso è presente anche per i ricoveri per tumore del polmone +85%, e per tumore della mammella +23%…

In Tabella 4.6 sono mostrati i risultati delle analisi relative alle associazioni tra esiti di mortalità ed esposizione a valori di arsenico nelle acque potabili al di sotto di 10 μg/l,…Si conferma il dato sull’eccesso di mortalità per cause naturali per la classe a maggiore esposizione maggiore a 10 μg/l con un incremento di rischio pari al +13% nella popolazione totale e al +17% nelle donne. Sempre nelle donne si osserva un eccesso di rischio nella classe 5-10 μg/l del +29% riferito alla mortalità per malattie cardiovascolari…

Nello studio amiatino per alcune patologie emergono dei segnali di associazione anche con l’esposizione a livelli di arsenico molto bassi, 5-10 μg/l, ovvero valori al di sotto dell’attuale limite normativo”.

Quanto sopra è confermato anche dai dati di correlazione dello studio InVETTA. Nel paragrafo 10.3.2 del Volume 2 si legge:

I dati presentati in questo Rapporto mostrano come, tra i vari indicatori di esposizione ambientale analizzati, l’esposizione cronica a concentrazioni crescenti di arsenico nelle acque potabili sia risultata associata con alcuni problemi di salute della popolazione amiatina. Sia per la salute respiratoria che per le patologie cardiovascolari i risultati di InVETTA sono coerenti con quelli dello studio di coorte residenziale (capitolo 4 del Volume 1) e con quelli già presenti in letteratura, che evidenziano un aumento di rischio di malattie respiratorie e cardiovascolari all’aumentare dei livelli di arsenico misurati nelle acque potabili. Inoltre, l’esposizione ad arsenico nelle acque potabili mostra una relazione anche con un aumento di rischio di tumori…

Negli ultimi anni sta crescendo sempre più la preoccupazione che anche moderati o bassi livelli di arsenico nelle acque potabili, anche inferiori agli attuali limiti normativi (10 μg/l), possano indurre esiti dannosi sulla salute umana”.

Quando segnalammo sulla stampa la necessità di ridurre il contenuto di Arsenico sulla base anche di valutazioni dell’OMS, che nel 2011 auspicava un ulteriore abbassamento dei limiti da 10 a valori tra lo 0 e i 5 μg/l, come obiettivo realistico, risposero sia il Presidente dell’Acquedotto del Fiora, Claudio Ceroni, dicendo che era una “fantasia dei cialtroni”, sia l’On. Claudio Franci, in qualità di Sindaco, dicendo che “ci tuteleremo in sede giudiziaria”.

Non si comprende per quale motivo i risultati di questo Studio di coorte non sia stato pubblicato prima. Tanto più che nel 2012 è uscito per la provincia confinante di Viterbo lo Studio di coorte sulla mortalità nel periodo 1990-2010 della popolazione residente con risultati allarmanti: “Valutazione Epidemiologica degli effetti sulla salute in relazione alla contaminazione da arsenico nelle acque potabili” a cura del Dipartimento Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio.

Poichè gli autori dello Studio InVETTA ritengono che le deroghe ai limiti di legge di Arsenico nell’acqua potabile, richieste dall’Acquedotto del Fiora e autorizzate dalla Regione Toscana, siano state necessarie per far fronte alle caratteristiche geologiche del territorio e allo stesso tempo ritengono che le notevoli emissioni di Arsenico dalle centrali geotermiche in Amiata non abbiano alcun influenza sui contenuti di Arsenico nell’acqua potabile, è opportuno rammentare che le emissioni non spariscono nel nulla ed è necessario ricostruire il contesto tecnico/scientifico e le responsabilità istituzionali, che hanno favorito il fenomeno della crescita della presenza di Arsenico nelle acque potabili.

In sintesi:

A) Negli anni ‘90 gli amministratori regionali e locali, sostenuti dai dirigenti ARPAT, consentono ad ENI di diffondere nel territorio grandi quantità di Arsenico. E’ stato consentito ad ENI di sottrarsi alla legislazione vigente sullo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi e sulle bonifiche, autorizzandola al riuso di rifiuti, tossico e nocivi per il loro contenuto di Arsenico, nei rilevati stradali e nelle ripiene minerarie ed escludendo dalle bonifiche aree già inserite nei Piani di Bonifica sull’ipotesi della naturalità della presenza di anomalie di Arsenico.

B) Negli anni 2001/2002 l’ARPAT e il Dipartimento Scienze della Terra dell’Università La Sapienza di Roma fanno ricerche sulle acque naturali della Toscana Meridionale e sostengono che le anomalie riscontrate nelle concentrazioni elevate di Arsenico sono da attribuirsi a processi naturali, ma arrivano a tale conclusione considerando acque naturali anche quelle in uscita da siti già inseriti nel Piano di Bonifica perché inquinate da attività umane. L’Acquedotto del Fiora e la Regione Toscana utilizzano tali studi errati, in violazione dei presupposti di legge, per ottenere dal 2003 al 2010 le deroghe previste dal D.L. 31/2001 sui valori limiti di Arsenico nella acque potabili.

C) Le ipotesi sulla naturalità e sul carattere innocuo dei rifiuti prodotti da ENI, in realtà tossici e nocivi, vengono smentite dalle verifiche promosse dalla Magistratura e da studi scientifici autorevoli ed indipendenti prodotti tra il 2002 e 2004. L’ENI per evitare le condanne in Tribunale inizia a compiere le prime bonifiche, ottenendo in un Accordo con Regione e Provincia la rinuncia a qualunque iniziativa giuridica e l’Acquedotto del Fiora inizia dal 2005 a realizzare i primi interventi sulla rete di distribuzione dell’acqua potabile.

D) La Regione Toscana dal 1999 ad oggi continua a non tutelare le aree di ricarica delle falde idropotabili della Toscana, omettendo di applicare una norma ritenuta dal Parlamento necessaria. Tale ritardo consente all’ENEL di peggiorare le acque dell’Acquifero del Fiora con elevate emissioni dai camini di Arsenico che si deposita anche nelle trachiti del cono vulcanico, area di ricarica dell’acquifero, non tutelato dalla Regione. L’ARPAT smentisce se stessa e tutti gli Uffici pubblici sul registrato peggioramento della concentrazione di Arsenico sulle fonti dell’acqua potabile del bacino del Fiora, rispetto ai dati prodotti nei primi anni 2000.

Pertanto, il fatto documentato dalla Regione Toscana che le centrali geotermiche in Amiata emettono in media 75,4 kg/anno di Arsenico, le quali nell’ipotesi che si depositino tutte sulle trachiti del cono vulcanico dell’Amiata, notoriamente fessurate e permeabili, sarebbero in grado di inquinare ogni anno 75 milioni di metri cubi di acqua, mentre la portata dell’Acquifero dell’Amiata è stimata da ARPAT in 50 milioni di metri cubi all’anno, non può essere tralasciato da coloro che sono stati incaricati di valutare le cause degli eccessi di mortalità certi e drammatici, registrati dal 2010 in Amiata per la presenza di Arsenico nelle acque potabili.

Segue in appendice la documentazione analitica di quanto sopra affermato nei punti A), B), C) e D).

Roberto Barocci – Forum Ambientalista Grosseto – Sos Geotermia – Rete nazionale NoGESI


APPENDICE

Punto A)

A1) L’ENI ha ereditato negli anni ‘70 da Montedison e da Egam/Agip sia gli impianti dell’area industriale di Scarlino/Follonica, sia le miniere di solfuri misti delle Colline Metallifere e dell’Amiata in una fase di crisi produttiva ed occupazionale. Con tali impianti l’ENI eredita anche un’enorme quantità di rifiuti pericolosi derivati dalla lavorazioni dei solfuri metallici, che non contenevano solo Zolfo, Ferro e Mercurio, ma in concentrazioni minori anche Rame, Piombo, Arsenico, Antimonio, Tallio… L’entità delle suddette lavorazioni avevano però assunto negli ultimi decenni di esercizio dimensioni impressionanti e le concentrazioni di elementi “minori” diventano pericolose:

– nella sola pianura di Scarlino dove nei forni della Montecatini si fondevano 770.000 t/anno di arsenopiriti, la deposizione di polveri arseniose dai camini ammontavano a diverse tonnellate/anno, inquinando terreni, falde e i pozzi di acqua potabile, sia della zona industriale di Follonica che della intera piana di Scarlino;

– nella sola miniera di Campiano, la più grande d’Europa con 35 km di gallerie camionabili interne, nell’arco degli ultimi 12 anni furono esplosi oltre 3 milioni di kg di tritolo. Negli stessi anni furono estratte oltre 5,5 milioni di tonnellate di piriti e arsenopiriti;

– nella miniera di Abbadia San Salvatore si fermano le attività nel 1997 dopo aver prodotto oltre 1,5 milioni di bombole di Mercurio, pari a circa 50.000 tonnellate di metallo estratto dal cinabro, scavato in gallerie estese su 19 livelli.

A2) L’ENI ottiene nel 1989 dalla Regione, sulla base di analisi condotte con metodi illegittimi, di depositare le ceneri di piriti nei rilevati stradali e nelle cavità della miniera di Campiano a Montieri, nonostante che fossero rifiuti tossici e nocivi per la cedibilità dell’Arsenico, con parere favorevole dei dirigenti ARPAT. L’assessore all’Ambiente, Moreno Periccioli, informato nel 1993 dagli Uffici USL di Piombino del probabile inquinamento del fiume Merse, che riceveva le acque di quella miniera, consente ugualmente ad ENI di chiuderla e abbandonare il sistema di drenaggio che la manteneva asciutta. Dopo alcuni anni le acque fuoriescono e inquinano la Merse. L’ENI sostiene che è tutto un fenomeno naturale.

A3) L’ENI nel 2001 afferma in Consiglio provinciale che non intende compiere le bonifiche. Stesse affermazioni vengono scritte nelle sue memorie prodotte nella causa civile in svolgimento presso il Tribunale di Grosseto: non intende compiere le bonifiche della miniera di Campiano perché risulta essere l’ultima società intestataria della concessione e i fenomeni inquinanti erano iniziati “per cause naturali” molti decenni prima del suo arrivo. A Scarlino/Follonica ottiene nel 1999 dalla Regione Toscana l’esclusione dagli oneri di bonifica sulla base della presunta “naturalità” di Arsenico nella piana alluvionale di Scarlino, teoria avallata da dirigenti3 ARPAT. Un altro errore incredibile, che non ha preso in considerazione sia le polveri in uscita dai camini e sia il deposito a piè di fabbrica (in via transitoria da decenni) di 1,5 milioni di tonnellate di ceneri arseniose, sprofondate nella prima falda. Il Sindaco di Scarlino, Alduvinca Meozzi, crede alla teoria dell’ENI e il Comune riceve aree inquinate da bonificare in permuta da ENI. Stesse permute: oneri di bonifica scaricati agli Enti locali in cambio di superfici in proprietà dell’ENI vengono proposte a Manciano e a Massa Marittima. Anche in Amiata vanno in porto permute sulla bonifica del Siele, che mettono in ginocchio la Comunità Montana e, parzialmente, ad Abbadia S. Salvatore.

Punto B)

B1) Nel 2001 con il D.L.31, in ritardo sulle indicazioni dell’OMS del 1993 e coerentemente ad una Direttiva CE del 1998, viene abbassato da 50 a 10 microgrammi/litro (µgr/l), il contenuto massimo di Arsenico nell’acqua potabile e viene concessa ai gestori del Servizio idrico una prima proroga (art.15) di due anni per consentire gli interventi a rispetto di tali limiti. La legge prevede inoltre la possibilità per le Regioni di ottenere dal Ministero della Sanità ulteriori deroghe, purché tali deroghe non costituiscano “potenziale pericolo per la salute umana” e il rispetto dei limiti non sia possibile “con nessun altro mezzo congruo”.

B2) Nel 2002 l’ARPAT avvia una ricerca idrogeochimica sulle acque naturali in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università La Sapienza, diretto dal prof. Dall’Aglio. A sua volta l’Acquedotto del Fiora, consumata la prima deroga biennale, nel luglio del 2003, si trova nella condizione di erogare acqua potabile fuori norma in 41 Comuni. Dovendo sostenere la richiesta di una seconda deroga per l’Arsenico, propone alla Regione uno studio di idrogeochimica assieme alla Università La Sapienza .

Tale studio “Caratterizzazione e valutazione delle acque naturali in Provincia di Grosseto” oltre che nel titolo, riporta più volte che è finalizzato alla valutazione delle acque “naturali” e sono stati prelevati campioni di acque ritenute “naturali” in 70 siti. Il dato medio di Arsenico dei campioni è di 4,68 µgr/l, ma con una deviazione standard di 7,21 e mentre il valore della mediana è 1,10 si è registrato un valore massimo di 47,10 µgr/l. Ciò dimostra sia una prevalenza di acque in pratica prive di Arsenico (valore della mediana è uguale a 1,10 µgr/l), sia la presenza di alcuni valori molto elevati, che fanno ipotizzare agli autori che ci sono diverse anomalie geochimiche naturali. Ma con scelte del tutto errate lo studio ha considerato “acque naturali” anche quelle acque in uscita da siti già segnalati nel Piano regionale di Bonifica, perché inquinati da attività industriali, come le acque di due gallerie di drenaggio delle miniere di solfuri misti con presenza di arsenopiriti (Niccioleta e Boccheggiano a Montieri) o le acque prelevate a valle di discariche minerarie di Fenice Capanne (Fosso dei Noni a Massa Marittima) o a valle delle uscite delle gallerie di drenaggio delle miniere di Gavorrano o perfino le acque della falda inquinata dalla Nuova Solmine nel pozzo della zona industriale di Follonica ZI3

Lo Studio di ARPAT-Dell’Aglio conclude, affermando che: “Le anomalie riscontrate sono da attribuire a processi naturali, come sistemi geotermici, idrotermali e vulcanici, giacimenti minerari”. Un clamoroso errore, che non ha tenuto conto delle condizioni alla base del fenomeno inquinante del Drenaggio acido di miniera (AMD), prodotto dalle attività umane che hanno portato i solfuri misti al dilavamento delle acque intercettate dalle numerose gallerie minerarie e in presenza di ossigeno (aria pompata dalla superficie nelle gallerie minerarie).

I dirigenti ARPAT che hanno collaborato allo studio di Dell’Aglio non potevano non conoscere i siti già inseriti nei Piani di Bonifica, come scritto a pagina 18 del Piano Regionale di Bonifica: “Le schede tecniche risultano quelle presentate dall’Arpat al termine dello specifico studio e vengono allegate al presente Piano come parte integrante e sostanziale dello stesso”. 

B3) A partire dagli anni ‘70 in USA era già stato studiato, pubblicato sulle prestigiose riviste scientifiche e definito (dalla legge Federale del 1977 sulle attività minerarie) l’“Acid Mine Drainage, AMD”, che si verifica a seguito di scavi e formazioni di gallerie minerarie sui solfuri metallici, da cui ricavare zolfo, ferro, mercurio…Se i solfuri vengono esposti all’aria e all’acqua, a seguito di falde idriche intercettate con gli scavi, si ha la formazione di acido solforico, capace di mandare in soluzione tutti i metalli contenuti nelle rocce solfuree, compreso il Tallio se è presente la pirite tallifera. La formazione di AMD può verificarsi anche in miniere profonde che consentono l’ingresso di aria e ossigeno nelle gallerie. I prodotti della formazione di AMD, acidità e metalli o metalloidi come l’Arsenico, possono devastare le risorse idriche, abbassando il pH e ricoprendo il fondo dei corsi d’acqua con idrossido di ferro, formando il familiare “ragazzo giallo” di colore arancione, comune in tutte le aree con drenaggio minerario abbandonato. Definire questo fenomeno “naturale”, per consentire l’uso potabile di tali acque, significa ignorare le acquisizioni scientifiche e assecondare scelte politiche irresponsabili.

B4) Secondo la legge, le richieste in deroga, oltre a non costituire “potenziale pericolo per la salute umana” e dimostrare che il rispetto dei limiti non fosse possibile “con nessun altro mezzo congruo”, dovevano essere accompagnate da una analisi delle cause che avevano generato il superamento dei limiti e anche da un piano relativo alla necessaria azione correttiva, compreso un calendario dei lavori, una stima dei costi, la relativa copertura finanziaria.

Il Decreto Dirigenziale della Regione (n°7950 del 24.12.2003), che autorizza il gestore Acquedotto del Fiora, riporta: ”Visti gli studi idrogeologici prodotti dai suindicati gestori a supporto delle suindicate richieste di deroghe, dai quali si evince che i valori delle concentrazioni dei parametri in oggetto di richiesta di deroga risultano in armonia con la circolazione idrica sotterranea; Visti i Programmi degli Interventi presentati dai suindicati Gestori del Servizio Idrico Integrato per il superamento delle situazioni di criticità per gli acquedotti dei comuni per i quali è stata richiesta la deroga;…decreta di concedere… le deroghe…”. Quanto sopra non risulta vero a parere del Presidente dell’Acquedotto del Fiora, che nel 2004 ottiene la deroga per ben 41 Comuni. Alla richiesta di ricevere copia degli studi idrogeologici prodotti dall’Acquedotto del Fiora a sostegno delle deroghe richieste, il suo Presidente, Rossano Teglielli risponde: “Diversamente da quanto si può evincere dalle premesse del Decreto Dirigenziale n°7950 del 24.12.2003, l’Acquedotto del Fiora Spa ha trasmesso solamente una bozza di richiesta……la relazione riferisce ben poco circa le cause dei tenori di As, al di là di un breve accenno alla particolarità geologica delle Colline Metallifere e del Monte Amiata. D’altra parte a tale proposito sono ancora in corso studi ed approfondimenti che vedono coinvolta la stessa Regione Toscana”. Quindi la prima deroga della Regione Toscana viene concessa sulla base di evidenti errori circa la “naturalità” del fenomeno, come voluto da ENI, e senza che fossero indicati gli interventi per eliminare le anomalie.

B5) Nel 2005, 2006, 2007, 2008 e 2009 l’Acquedotto del Fiora rinnova alla Regione Toscana la richiesta di deroghe al valore limite di legge di 10 µgr/l di Arsenico nelle acque potabili erogate, ma dal 2006 si riducono i Comuni in deroga e dal valore di 50µgr/l si abbassano i limiti ammessi3: nel 2006 sono in deroga 9 Comuni, tra cui Abbadia S. Salvatore e Piancastagnaio con 30 µgr/l e gli altri comuni dell’Amiata con 20 µgr/l; nel 2007 sono in deroga 8 Comuni; nel 2008 sono in deroga 7 Comuni con Abbadia San Salvatore e Monterotondo a 30 µgr/l, Piancastagnaio, Casteldelpiano, Montieri e Arcidosso a 20µgr/l; solo 2 Comuni in deroga nel 2009 e 2010: Monterotondo e Montieri.

Nelle ultime richieste di deroghe si prevedono la realizzazione di invasi superficiali, miscelazioni tra fonti diverse e realizzazione di impianti di abbattimento, che vengono realizzati con risorse prelevate dalle bollette degli utenti.

In tutte le suddette richieste di Deroga dell’Acquedotto del Fiora e in tutti i relativi Decreti regionali di autorizzazione si sostiene la naturalità del fenomeno e ovviamente il rispetto della condizione di legge: che tali deroghe non costituiscono “potenziale pericolo per la salute umana” e che il rispetto dei limiti non sia possibile “con nessun altro mezzo congruo”.

Noi abbiamo promosso mozioni e interrogazioni di opposizione alle suddette deroghe in tutte le assemblee elettive, segnalando, anche sulla stampa locale che l’OMS aveva segnalato in anni più recenti la necessità di ulteriori riduzioni dei valori massimi. Non ci risulta che dall’Agenzia Regionale di Sanità siano state avanzate opposizioni alle scelte della Regione.

Punto C)

C1) La Magistratura grossetana, attivata dai Comitati e Associazioni Ambientaliste, sconfigge nei primi anni 2000 una parte delle pretese dell’ENI.

Lo Studio del prof. Enzo Tiezzi dell’Università di Siena ha quantificato con un bilancio di massa la quantità di Arsenico disperso dai camini sotto forma di polveri in 10 anni, ipotizzando tre scenari, che danno tra le 15 e le 539 tonnellate di Arsenico depositato con le sole polveri. Questo primo studio apre contraddizioni insanabili.

La Procura di Grosseto, pur ritenendo caduti in prescrizione i reati ambientali ipotizzati a carico dei dirigenti ENI e di Abuso d’Ufficio, informa tutti gli Uffici pubblici circa la natura pericolosa delle ceneri di pirite, da considerarsi rifiuto tossico e nocivo, mentre i dirigenti ENI le avevano distribuite sul territorio come inerti e definisce “scellerato progetto” quello di depositare tali rifiuti nella miniera di Campiano e nei rilevati stradali.

L’ENI pur di evitare le condanne, sia in sede civile che penale, si accolla in un Accordo con la Regione e Provincia i costi della bonifica del fiume Merse e di tutte le aree minerarie delle Colline Metallifere e dell’Amiata non ancora cedute in permuta ai Comuni ottenendo l’uscita degli Enti pubblici dai procedimenti giudiziari.

Hanno fornito un contributo decisivo sia diversi accertamenti di autorevoli Consulenti Tecnici, incaricati di indagini dai Magistrati, sia studi condotti in autonomia dall’Università di Siena, come quelli di Chimica Ambientale del gruppo di ricercatori coordinati dal prof. Enzo Tiezzi del 2002/2004 e quelli di Geochimica Ambientale coordinati dal prof. Francesco Riccobono del 2003. In particolare merita ricordare lo studio del prof. Riccardo Francovicharcheologo dell’Università di Siena, che ha svelato nel 2004 il fatto che le puntiformi presenze di arsenico presenti in superficie nelle Colline Metallifere non sono anomalie geochimiche naturali, ma sono gli scarti delle fusioni di arsenopiriti avvenute in villaggi etruschi. Tale scoperta è stata di valore eccezionale per l’archeologia, in quanto la dimostrata relazione tra le aree segnalate in precedenza come anomalie geochimiche e le antiche attività fusorie e metallurgiche ha consentito all’archeologia di portare alla luce nuovi reperti e nuovi insediamenti etruschi.

C2) La dimostrazione che è stato aggirato nel 2003 per sudditanza all’ENI uno dei due vincoli, quello che consentiva deroghe solo se il rispetto dei limiti non fosse possibile “con nessun altro mezza congruo”, contenuto nel D.L. 31/2001, è data dalle dichiarazioni del 2011 dell’Acquedotto del Fiora, la quale scrive che: “A partire dal 2005 sono stati realizzati e resi operativi 6 impianti finalizzati alla rimozione dell’arsenico, di cui 3 nell’aria delle Colline Metallifere (comuni di Gavorrano, Follonica e Montieri) e tre nell’area del Monte Amiata (Comuni di Abbadia S. Salvatore, Piancastagnaio e Arcidosso. Il costo totale degli interventi, che hanno consentito il rientro in conformità del parametro arsenico, ammonta a circa 2,5 milioni di euro”.

Punto D)

D1) L ‘art.21 del D.Lgl. 152 del 1999. dopo 23 anni, non ha trovato applicazione in Toscana. Con tale articolo il Parlamento, al fine di mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative delle acque destinate al consumo umano, dettava le norme per individuare e diversamente vincolare sia le zone di rispetto assoluto, vicino agli impianti di captazione, sia le zone di protezione nelle aree di ricarica delle falde idriche. Le aree di ricarica non sono state individuate da parte della Regione Toscana e pertanto non sono state vincolate. Nel 2018 il Consiglio regionale ha approvato all’unanimità una mozione, primo firmatario Tommaso Fattori, che:

Impegna la Giunta regionale 
– a riferire i motivi del più che decennale ritardo rispetto alla conclusione del programma di lavoro avviato ai sensi dell’art.21 del D.Lgs.152/99 e rammentato dalla Deliberazione n.6 del Consiglio regionale del 2005, in occasione dell’approvazione del primo Piano di tutela delle acque in Toscana;

A tutt’oggi le aree di ricarica delle acque in uscita dalle sorgenti del Fiora, che la Regione Toscana ha sempre definito le sorgenti dell’acquifero più importante della Toscana, non sono individuate e non sono tutelate, pur essendo noto a tutti quali siano: sono rappresentate dal cono trachitico dell’Amiata.

D2) Queste le quantità di Arsenico, secondo la Regione Toscana, in uscita dalle centrali ENEL in Amiata in Kg: 90 nel 2000, 54 nel 2003, 76 nel 2005, 84 nel 2007, 73 (stimato) nel 2013. L’ARS non dice dove si depositano questi 75,4 Kg/anno di Arsenico. L’ARPAT neppure. L’ing. Oscar Galli, Direttore dell’Acquedotto del Fiora, in occasione dell’autorizzazione alla costruzione della centrale Bagnore 4 scrisse alla Regione, documentando che l’Arsenico dell’acquedotto del Fiora, in preoccupante crescita, non proviene dalle trachiti delle gallerie drenanti: “…si ritiene necessario rappresentare viva preoccupazione per le possibili interazioni tra sfruttamento dei vapori geotermici e la risorsa idrica…l’analisi chimica condotta su un campione di roccia vulcanica prelevato all’interno di una galleria drenante indica un contenuto in arsenico piuttosto basso che difficilmente riesce a giustificare i contenuti rilevati nella risorsa”.

D3) L’ ENEL, l’ARPAT e la Regione Toscana sostengono oggi che la concentrazione di Arsenico nelle acque del Fiora è costante nel tempo, ma sono smentiti da molte autorevoli dichiarazioni:

Hanno sostenuto un aumento del contenuto in Arsenico nell’acquifero dell’Amiata da pochi µgr/l, fino ai limiti di 10 µgr/l: l’Università La Sapienza, prof.Mario Dell’Aglio, il Presidente dell’Acquedotto del Fiora, Rossano Teglielli, il Dirigente di Arpat, Silvano Giannerini, il Direttore dell’Acquedotto del Fiora, l’ing. Oscar Galli, il Dirigente Esercizio Reti dell’Acquedotto del Fiora, dott geol. Massimo Bellatalla, il Direttore dell’Area Funzionale della Prevenzione dell’USL 9, dott.ssa Tosca Papalini.

Per la precisione, in ordine di tempo:

1) Il prof. Mario Dell’Aglio Università La Sapienza (2002) in “Caratterizzazione e valutazione delle acque naturali della Toscana Meridionale …” pagina 21: “L’acquifero di qualità accettabile dal punto di vista chimico-fisico e come alimento è quello ospitato nelle vulcaniti del Monte Amiata.” (vedi sopra nota n.9). Inoltre, in Allegato al suddetto studio del prof. Mario Dell’Aglio, nella Tesi di laurea di Sara Lucarelli, “Valutazione geochimica della qualità delle acque naturali ai fini degli usi idropotabili…”, Relatore prof. Mario Dell’Aglio, pagina 75, è scritto: “ Nella zona di Monte Amiata (S.Fiora) l’Arsenico raggiunge valori intorno ai 5 µgr/l…”.

2) Il Presidente dell’Acquedotto del Fiora, Rossano Teglielli (2004): “Tali motivazioni (circa la richiesta della deroga alla Regione n.d.s.) emergono più dalla preoccupazione di ciò che potrebbe accadere presso le sorgenti del Monte Amiata, piuttosto che dalla situazione esistente sui punti dove sono state registrati superamenti, in quest’ultimo caso , infatti, la possibilità di miscelazione della risorsa consente al momento di rientrare nei limiti di legge. Tale preoccupazione nasce dal continuo aumento di As registrato nella risorsa proveniente dall’acquifero del Monte Amiata”(vedi nota n.14).

3) Il Dirigente di Arpat, Silvano Giannerini (2004) : “Le acque del Fiora, dati i suoi contenuti bassi di Arsenico sono state finora utilizzate per “tagliare” le altre acque; oggi i valori di Arsenico in tali acque sono aumentati fino a raggiungere i valori di 9,9 µgr/l”.

4) il Direttore dell’Acquedotto del Fiora l’ing. Oscar Galli (2006):“Tale preoccupazione nasce innanzitutto dall’aumento tendenziale del tenore in Arsenico nella risorsa effluente dalle sorgenti di Santa Fiora, come mostrato nel grafico allegato costruito sulla base delle analisi regolarmente eseguite da questa Azienda”(Vedi nota n.23).

5) Il Dirigente responsabile “Unità Esercizio Reti” dell’Acquedotto del Fiora, dott geol. Massimo Bellatalla (2005-2006-2007): “Inoltre, in alcune delle sorgenti ubicate sul Monte Amiata sono stati osservati , nel corso degli ultimi anni, preoccupanti pprogressivi aumenti nel contenuto di As, fino a valori molto prossimi a 10 µgr/l“ (2005); “Presso le sorgenti del Fiora, che rappresentano le captazioni di maggiore produttività erogando attualmente circa 650 l/s, è stata accertata una variazione del tenore in As, su un periodo inferiore a 10 anni, caratterizzato da un aumento tendenziale da circa 6 µgr/l a quasi 10 µgr/l” (2006);“Tale risorsa (acquifero del Monte Amiata n.d.s.) viene prevalentemente distribuita alle utenze e in parte viene utilizzata per miscelare le acque più mineralizzate provenienti dagli altri acquiferi e nei quali si hanno tenori elevati di cloruri, solfati e metalli. Inoltre, in alcune delle sorgenti del Monte Amiata sono stati osservati, nel corso degli ultimi anni preoccupanti e progressivi aumenti nel contenuto in As, fino a valori molto prossimi a 10 µgr/l”(2007).

6) Il Direttore dell’Area Funzionale della Prevenzione dell’USL 9, dott. Tosca Papalini (2007), fornisce i dati analitici e i relativi grafici del contenuto di As per il periodo 1999/2006 delle acque potabili del Fiora, Galleria principale e Galleria bassa, dell’Ente e Crognolo, dai quali si confermano le dichiarazioni sopra riportate: una crescita della concentrazione di As.


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MaremmaNews 24/2/22

MaremmaNews

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Il Tirreno:

 

IL NO DEI TERRITORI DELLA VAL D’ORCIA E DELL’AMIATA ALLA CENTRALE GEOTERMICA IN VAL DI PAGLIA

Sabato 19 febbraio a Radicofani ore 15.30 Manifestazione pubblica e firma Manifesto contro la centrale geotermica Le Cascinelle voluta da Sorgenia, la cui realizzazione è ipotizzata in Val di Paglia lungo la via Cassia, sulla buffer zone del sito UNESCO Val d’Orcia, sotto il borgo medievale di Radicofani, a km 4 dalle sorgenti termali di Bagni San Filippo e sull’area di grande rilevanza archeologica etrusco-romana di Voltole, poi Submansio X Sce Petil in Pail attestata nell’itinerario di Sigerico lungo la via Francigena nel 990.

Le comunità locali di Val d’Orcia e Amiata, i sindaci, i consiglieri comunali, le associazioni a difesa del territorio, le associazioni di categoria, le sigle sindacali, i comitati, gli imprenditori del termalismo e delle strutture ricettive, le imprese agricole, i commercianti, i ristoratori, il settore enogastronomico e agroalimentare di qualità, gli imprenditori dell’indotto del turismo, gli artigiani, i cittadini dichiarano con grande determinazione e in modo unanime il loro NO a imposizioni calate dall’alto e mai condivise con le popolazioni locali.

E’ inaccettabile che le nostre terre siano utilizzate dalla Regione Toscana, per la loro straordinaria bellezza che il mondo ci invidia, quale brand del tuscany style e contestualmente si pretenda di imporre insediamenti industriali speculativi, altamente impattanti e alteranti del paesaggio e del sottosuolo, impianti che si giustificano solo per coloro che li realizza e che ne traggono enormi profitti dagli incentivi economici.

Tutto ciò in territori che sono stati già drammaticamente sfruttati, e che in buona parte continuano ad esserlo, lasciando in eredità condizioni di rischio per la salute tutto fuorchè determinate.

Il nostro NO è chiaro, convinto, netto e altrettanto chiara è la volontà dei
cittadini delle nostre terre di auto determinare il proprio futuro e quello
dei propri figli.

 

Hanno aderito alla manifestazione:

Claudio Galletti, sindaco di Castiglione d’Orcia – Francesco Fabrizzi,
Sindaco di Radicofani – Manolo Garosi, sindaco di Pienza – Lista Abbadia in
Comune di Abbadia San Salvatore – Lista Abbadia Futura di Abbadia San
Salvatore – Lista Presenza Attiva di Castiglione d’Orcia – Lista San Quirico
in Piazza di San Quirico d’Orcia – Lista Vivi San Quirico di San Quirico
d’Orcia – Lista Uniti per Radicofani e Contignano – Coordinamento Ecosistema
Val d’Orcia – Fondazione Tagliolini Centro per lo Studio del Paesaggio –
Associazione Pyramid di Radicofani – Associazione OPERA Val d’Orcia – Italia
Nostra Toscana – Italia Nostra Siena – Circolo Legambiente Terra e Pace –
Club UNESCO Siena – Associazione il Bersaglio di Montepulciano – WWF Siena –
Rete NOGESI – Comitato Salvaguardia Ambiente Monte Amiata – Parco Nazionale
del Monte Amiata – Centro Parchi Internazionale – Gruppo C’era il Ponte
dell’Orcia – Circolo Culturale Anna Kuliscioff di San Quirico d’Orcia –
Circolo Culturale il Vecchietta di Castiglione d’Orcia – Radicofani in Val
d’Orcia Rete di imprese – Centro Commerciale Naturale di Radicofani – Gruppo
Coltivatori diretti della Val di Paglia – ARIA Chiusi – Sinistra Civica
Ecologista Siena – Partito Comunista Siena – Potere al Popolo di Siena e
Provincia.

Coordinamento Ecosistema Val d’Orcia


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CentritaliaNews

AmiataNews

Corriere di Siena:

Basta centrali! Lo studio InVetta e l’aggiornamento dello studio epidemiologico non smentiscono le denunce di Sos Geotermia sulla salute, specie in Amiata

700 pagine, molte rassicurazioni e una conferma: “un quadro piuttosto sfavorevole per numerosi indicatori epidemiologici, sia di mortalità che di morbosità, in particolare nei comuni dell’area dell’Amiata”. 840.000 euro per dire che bisogna continuare ad “osservare” il fenomeno senza interferire con l’attività geotermica.

 

Che l’epidemiologia non sia una scienza esatta e che i risultati degli studi epidemiologici possano essere interpretati in vari modi, come una coperta che ciascuno può tirare dalla sua parte, ne abbiamo avuto varie dimostrazioni, anche in questi due drammatici anni pandemici; e naturalmente la presentazione dei risultati dello Studio InVETTA (volume 1, volume 2 e Allegati) non si è sottratta a questa regola, con la Giunta regionale concordemente schierata a sostenere, all’unisono, che la salute degli amiatini non ha niente a che vedere con le emissioni prodotte dallo sfruttamento geotermico in atto nell’area.
In realtà il comunicato stampa emesso dall’Agenzia Regionale di Sanità (ARS) che accompagna la pubblicazione dei tre volumi che compongono lo studio di circa 700 pagine (che ci riserviamo di analizzare nei dettagli), qualcosa di più problematico lo lasciano intravedere, come si può rilevare dall’affermazione “…Anche i lavoratori presso le centrali geotermiche, sebbene costituiscano un sottocampione poco numeroso, hanno mostrato livelli urinari di tallio e di mercurio più alti rispetto al resto dei partecipanti…”; cioè, mentre i soggetti esaminati appartenenti al campione presentano concentrazioni di metalli nel sangue e nelle urine già superiori alla norma, coloro che svolgono la loro attività lavorativa all’interno delle centrali hanno valori di mercurio e tallio ancora superiori.
Basterebbe questo a smentire le affermazioni trionfalistiche, in particolare dell’Assessore all’ambiente Monia Monni, secondo la quale si apre ora concretamente la possibilità quantomeno di raddoppiare il numero e la potenza delle centrali geotermiche da autorizzare, anche in Amiata.

Ma c’è un altro passaggio del comunicato stampa dell’ARS che merita attenzione, ed è dove si dice, riguardo allo studio epidemiologico commissionato dalla Regione Toscana alla Fondazione Monasterio del CNR di Pisa e pubblicato nel 2010, che “… Da questa analisi emerse un quadro piuttosto sfavorevole per numerosi indicatori epidemiologici, sia di mortalità che di morbosità, in particolare nei comuni dell’area dell’Amiata…”.

Con 12 anni di ritardo si ammette (AB) quanto Sos Geotermia ha sempre denunciato (CDEFGH), cioè che i risultati di quella ricerca, che evidenziava la presenza di morti per malattie tumorali nei maschi superiori fino al 30% rispetto ai dati regionali in alcuni comuni maggiormente esposti alle emissioni delle centrali, non erano poi così tranquillizzanti come invece sostenevano all’epoca, tanto che, forti di tali affermazioni, autorizzarono la realizzazione della centrale Bagnore 4.
L’ultimo aggiornamento di questo studio agli anni 2010-2017 per la mortalità e 2015-2019 per l’ospedalizzazione è stato presentato insieme all’indagine InVETTA: ebbene, il tasso di mortalità generale negli uomini rimane più alto, rispetto al dato regionale, del 5% (era +13% nel periodo 2000-2006), mentre la mortalità per tumori risulta ancora più elevata dell’11% (era +19%); in linea con i precedenti aggiornamenti si confermano gli eccessi di mortalità per malattie respiratorie, più consistenti negli uomini (+21%), in particolare per malattie respiratorie acute (+58%), quali la polmonite (+45%).

Sappiamo che l’indagine InVETTA si basa su un’altra metodologia di analisi forse più adeguata e più approfondita che, come detto, ci proponiamo di valutare nel dettaglio, ma crediamo che i risultati appena richiamati dovrebbero indurre i nostri governanti ad una maggiore prudenza nel prevedere il raddoppio delle centrali. In questo vediamo una drammatica continuità della Giunta regionale e delle assessore all’ambiente, da Rossi a Giani, dalla Bramerini, alla Fratoni, alla Monni.

Come Sos Geotermia e come Rete NoGesi non possiamo che ribadire che è ora di una moratoria generale sulla geotermia esistente e di progetto ed investire sulla valorizzazione ambientale dei territori, delle produzioni locali, del turismo sostenibile ed anche la ricerca di fonti energetiche realmente compatibili con la salute e l’ambiente.

Sos Geotermia – Rete nazionale NoGesi


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Il Cittadino online

La Nazione

Il Tirreno

CentritaliaNews

Studio InVetta, l’Ars continua a dimenticare…

Siamo alle solite, l’Ars dimentica, omette, addomestica i dati storici (anche i suoi stessi). Non è vero che la concentrazione di arsenico nelle acque potabili dell’Amiata è sempre stata elevata. Non è vero che i dati epidemiologici in Amiata hanno sempre segnalato un eccesso di mortalità rispetto ai dati attesi. E non è precisato dove va a ricadere l’arsenico sprigionato in aria insieme al vapore delle centrali geotermiche sull’Amiata.

 

Riportiamo l’articolo de Il Tirreno (qui l’articolo), del 3 febbraio 2022 che da voce a Sos Geotermia sulla questione:

Sos Geotermia contesta InVetta «L’arsenico prima non c’era»
L’associazione ribadisce la preoccupazione per gli inquinanti: «La maggiore mortalità? Per l’Iss non c’entrano le miniere»
di FRANCESCA FERRI

Non è vero che la concentrazione di arsenico nelle acque potabili dell’Amiata è sempre stata elevata. Non è vero che i dati epidemiologici in Amiata hanno sempre segnalato un eccesso di mortalità rispetto ai dati attesi. E non è precisato dove va a ricadere l’arsenico sprigionato in aria insieme al vapore delle centrali geotermiche sull’Amiata. Così Sos Geotermia all’indomani della presentazione dei risultati dell’indagine epidemiologica dell’Ars, Agenzia regionale di sanità, sull’impatto dell’industria geotermica amiatina sulla salute dei residenti.
La reazione era prevedibile. L’associazione da sempre segue da vicino le geotermia amiatina e non si è mai stancata di confutare i dati relativi agli inquinanti legati all’attività delle centrali, chiamando in campo esperti di prim’ordine.
La Regione Toscana ha commissionato lo studio e, sulla base delle sue risultanze – nessun collegamento tra tumori e attività geotermica – intende ora raddoppiare la potenza installata, qui e a Larderello. Sos Geotermia contesta invece i risultati e sottolinea diverse contraddizioni su quanto scritto o detto dai dirigenti Ars.
«Oggi – dice il fondatore di Sos Geotermia, Roberto Barocci – scrivono che dallo studio del 2010 del Cnr “emerse un quadro piuttosto sfavorevole per numerosi indicatori epidemiologici, sia di mortalità che di morbosità”. Nel 2010, nelle Conclusioni generali allo studio, scrissero il contrario in un falso, ripetuto da tutti gli amministratori pubblici, regionali e comunali del tempo: “Le prove raccolti evidenziano un quadro epidemiologico nell’area geotermica rassicurante perché simile a quello dei comuni limitrofi non geotermici e a quello regionale”».
Proprio sulla base di queste valutazioni «rassicuranti», l’Ars dette parere favorevole alla Valutazione di impatto ambientale per costruire la centrale Bagnore 4 di Enel Green power a Santa Fiora. «La falsità di tali valutazioni è, ancora oggi, ampiamente dimostrata dall’Allegato 6 al suddetto studio del Cnr, che va letto attentamente, da cui emerge che per molte patologie mortali, che nell’insieme davano un eccesso del +13% di mortalità, c’è una correlazione statisticamente significativa (ripeto: statisticamente significativa) tra crescita di concentrazioni di inquinanti emessi dalle centrali geotermiche e mortalità in eccesso registrata. Tale studio non è mai stato smentito».
Sos Geotermia torna anche sull’arsenico, veleno attestato in quantità elevate e sul quale la Regione e l’Ars si sono riproposte un approfondimento, specificando però che non deriva dalle centrali.
«Abbiamo documenti della Usl e di Acquedotto del Fiora – dice Barocci – che testimoniano una crescita di concentrazione dai primi anni 2000. Nella Dgrt 344 del 22 marzo 2010, recante “Criteri direttivi per il contenimento delle emissioni in atmosfera delle centrali geotermoelettriche”, si legge a pagina 21, dopo aver ricordato che l’impianto Amis (i filtri per gli inquinanti) ha un’influenza marginale sulle emissioni di arsenico, che, “per quanto riguarda l’area dell’Amiata l’incremento registrato dal 2003 al 2007 è ascrivibile essenzialmente alla diversa composizione del fluido geotermico che ha presentato negli anni un aumento della composizione percentuale di arsenico». L’Ars, entra nel dettaglio Barocci, «non dice dove finiscono i 45 chilogrammi/annui di arsenico emessi in Amiata dalle centrali Enel, documentate dal professor Basosi e dal dottor Bravi in “Geotermia d’impatto” pubblicato nella rivista QualEnergia del giugno/luglio 2015. Tale quantità annua, se ricadesse solo sulle trachiti dell’Amiata, area di ricarica della falda idropotabile del Fiora, è in grado di inquinare ogni anno oltre 4 miliardi di litri di acqua».
Barocci confuta anche i dati sullo studio epidemiologico. «Nella sintesi di uno studio epidemiologico, pubblicata da Zapponi negli annali dell’Istituto superiore di sanità, si dimostra che nei primi anni ’80, in cui più probabile erano le conseguenze negative del lavoro nelle miniere, chiuse negli anni ’70, i dati circa la mortalità registrata in Amiata erano inferiori a quelli nazionali e regionali. Allora, con le miniere, si viveva meglio che nel resto del Paese».