Archivio mensile:Aprile 2020

5G, un’altra grave minaccia alla salute pubblica. In aggiunta a tutto il resto…

Una lettera aperta con oggetto “Notifica sui rischi per la salute correlati alle radiazioni del 5G – Richiesta di sospensione della fase sperimentale 5G sui territori comunali” è stata inviata ai Sindaci delle aree geotermiche toscane e ai Sindaci delle province di Viterbo e Terni. 
La tecnologia 5G prevede l’installazione di milioni di  nuove antenne; sono già “126 ordinanze urgenti e contingibili emesse dai sindaci tra i 265 Comuni d’Italia che, a seguito della Risoluzione di Vicovaro nel consenso del 2019 dell’Alleanza Italiana Stop 5G hanno approvato atti per la moratoria, la precauzione e la difesa della salute pubblica minacciata dalle radiofrequenze onde non ionizzanti già possibili agenti cancerogeni per l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, Michele Carducci Ordinario di Diritto Costituzionale Comparato presso l’Università del Salento ha quindi affermato che “si deve concludere che, in linea generale, sospendere precauzionalmente il 5G è la decisione più fedele alla Costituzione e precisamente agli artt. 1, 2, 3, 21, 32 e 33 Cost.“. (da comunicato stampa 22/4/20 di Alleanza Italiana Stop 5G)
Per seguire il dibattito sul 5G su facebook: Alleanza italiana Stop 5G e Stop sperimentazione 5G

 

Gentili sindaci,

Dopo la presente pandemia CORONA VIRUS e la geotermia elettrica un nuovo pericolo affligge i nostri territori: il 5G.

Dopo la fase sperimentale del 2017 esaurita in alcune città pilota, dal 2019 sono iniziate in Italia le installazioni dei sistemi mobili di quinta generazione, noti come strutture 5G, che prevede il posizionamento di nuova infrastruttura tecnologica di milioni di gruppi di nuove mini-antenne a microonde millimetriche su abitazioni, scuole, centri diurni, centri ricreativi, lampioni della luce, tombini dei marciapiedi e altro ancora. C’è poi anche il progetto di satelliti Wi-Fi lanciati in orbita nello spazio e di droni wireless per coprire il 98% del territorio nazionale di radiofrequenze e servire il 99% della popolazione col servizio del cosiddetto Internet delle cose, prevedendo un’impennata elettromagnetica ubiquitaria a cui la popolazione sarà esposta 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno.

Teniamo presente che le radiazioni del 5G vanno a sommarsi a quelle della telefonia mobile attuale (2G, 3G, 4G)  e sistemi Wi-Fi e Wi-Max ed è necessario valutare l’impatto sulla salute pubblica, sulla flora e sulla fauna, della sommatoria cumulativa e multipla di tali esposizioni prolungate nel tempo alla luce degli effetti biologici causati dall’esposizione sinergica a tutte queste frequenze, soprattutto in considerazione del fatto che la ricerca ha trovato effetti biologici potenzialmente responsabili di rischi di patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer, ormonali, per la fertilità, nonché rischi per la flora e per la fauna, anche al di sotto degli attuali limiti di legge.

La ragione per cui l’industria ha deciso di passare alle frequenze estremamente alte del 5G è che con frequenze così estremamente elevate è possibile trasportare molte più informazioni per mezzo di molte più pulsazioni, rispetto a quanto sia possibile trasportare con frequenze più basse anche mantenendosi nella gamma delle microonde. Possiamo essere certi, quindi, che il 5G implicherà un numero di pulsazioni molto maggiore rispetto ai campi elettromagnetici a cui siamo attualmente esposti.

Eppure dal 2011 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato le onde non ionizzanti a radiofrequenza come “possibili cancerogeni” inserendoli nel gruppo 2B. Inoltre, entro 2-3 anni, attraverso le “Raccomandazioni del gruppo consultivo sulle priorità per la Monografia IARC” per il periodo 2020-2024, è prevista la rivalutazione della classificazione per portarla eventualmente a Classe 2A (probabili cancerogeni) se non addirittura in Classe 1 (cancerogeni certi), facendo seguito ai nuovi dati epidemiologici e soprattutto sperimentali contenuti nel rapporto finale del National Toxicology Program, dal quale è emersa una «chiara evidenza che i ratti maschi esposti ad alti livelli di radiazioni da radiofrequenza, come 2G e 3G, sviluppino rari tumori delle cellule nervose del cuore», e «alcune evidenze di tumori al cervello e alle ghiandole surrenali».

Anche l’Istituto Ramazzini (Centro di ricerca sul cancro Cesare Maltoni) di Bologna ha considerato sperimentalmente esposizioni alle radiofrequenze della telefonia mobile mille volte inferiori a quelle utilizzate nello studio statunitense, riconducibili alle esposizioni attuali alle antenne della telefonia mobile nell’uomo, ha riscontrato gli stessi tipi di tumore. Infatti, sono emersi aumenti statisticamente significativi nell’incidenza degli schwannomi maligni, tumori rari delle cellule nervose del cuore, nei ratti maschi del gruppo esposto all’intensità di campo più alta, 50 V/m, e ha osservato un aumento dell’incidenza di altre lesioni, già riscontrate nello studio americano: iperplasia delle cellule di Schwann e gliomi maligni (tumori del cervello) alla dose più elevata. Recentemente la direttrice dell’Istituto Ramazzini dr.ssa Mirella Belpoggi ha detto:” … il 5G deve passare uno scrutinio sulla sicurezza”.

Sono poi circa 200 gli scienziati indipendenti che, guidati dal Prof. Lennart Hardell, hanno sottoscritto l’appello internazionale per una moratoria del 5G. E un altro appello ha già raccolto oltre 100.000 adesioni di ricercatori, cittadini e organizzazioni di 187 paesi al mondo e mette a disposizione una bibliografia ricchissima, che attesta numerosi rischi biologici da elettrosmog. In Italia, non da ultimo, nel 2018 i medici di ISDE Italia hanno chiesto al Governo Conte “un piano di monitoraggio dei possibili effetti sanitari e una moratoria per l’esecuzione delle sperimentazioni 5G su tutto il territorio nazionale sino a quando non sia adeguatamente piani­ficato un coinvolgimento attivo degli enti pubblici deputati al con­trollo ambientale e sanitario”.

Nel 2019 il Comitato Scientifico sui rischi sanitari ambientali ed emergenti (SCHEER) della Comunità Europea ha quindi affermato che il 5G “evidenzia criticità sconosciute sui problemi di salute e sicurezza. La polemica è in merito ai danni causati dalle attuali tecnologie wireless 2G, 3G e 4G.” E lo stesso dichiara che la questione di come “l’esposizione ai campi elettromagnetici potrebbe influenzare l’uomo, rimane un’area controversa e gli studi non hanno fornito prove chiare dell’impatto su mammiferi, uccelli o insetti. La mancanza di prove chiare per informare lo sviluppo delle linee guida sull’esposizione alla tecnologia 5G lascia aperta la possibilità di conseguenze biologiche non intenzionali”».

Fa eccezione, more solito, la c.d. “Commissione internazionale sulla Protezione dalle Radiazioni Non Ionizzanti (ICNIRP)” (che alcuni di noi si trovarono contro in occasione della approvazione del Parlamento Italiano della legge 36/2001 sull’inquinamento elettromagnetico) ovvero da un organismo privato con sede in Germania già al centro di numerose polemiche e attacchi da parte di scienziati, medici e ricercatori di mezzo mondo che lo accusano di conflitti d’interesse e scarsa trasparenza nell’operato, motivo per cui tali studi non vengono considerati dai tribunali italiani, poiché ICNIRP seguita a perorare una tesi negazionista sui cosiddetti effetti non termici a medio-lungo termine, ovvero rimane ferma su parametri obsoleti e superati dalla letteratura biomedica che invero attesta effetti biologici da irradiazione a radiofrequenze.

Martin Pall, professore emerito di biochimica e scienze mediche di base della Washington State University (USA) nonché più esperti al mondo in materia di interazione tra campi elettromagnetici e salute, nel Commento dell’8 Ottobre 2018 alle ‘Linee Guida’ dell’ICNIRP e alle relative ‘Appendici sui Limiti per l’Esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici variabili nel tempo (da 100 kHz a 300 GHz)’ ha denunciato il pericolo per la salute umana correlato alle radiofrequenze compreso il 5G, sottolineando storture, falle metodologiche e grossolani limiti di contenuto nel controverso documento diffuso dell’ICNIRP.

Ma ci sono stati in questi anni molte prime sentenze di Tribunali italiani: riscontrati gli “effetti nocivi sulla salute umana” il 15 Gennaio 2019 il TAR del Lazio ha così condannato i Ministeri di salute, ambiente e pubblica istruzione a promuovere un’adeguata campagna informativa “avente ad oggetto l’individuazione delle corrette modalità d’uso degli apparecchi di telefonia mobile”, mentre una serie di sentenze emesse nell’ultimo decennio dalla magistratura internazionale e italiana (l’ultima dal Tribunale di Monza nel Marzo 2019) attestano il danno da elettrosmog, l’elettrosensibilità e il nesso telefonino=cancro oltre ogni ragionevole dubbio (Cassazione 2012), tanto che note compagnie internazionali di assicurazione come Swiss Re e Llyoid’s non ne coprono più il danno e l’Alleanza Contro il Cancro (fondata dal Ministero della Salute, ne fa parte pure l’Istituto Superiore di Sanità) sta studiando le cause di un tumore maligno al cervello (glioblastoma) puntando sull’invisibile inquinamento dei cellulari.

Proprio per questo oltre 300 Sindaci americani promettono strascichi in tribunale mentre il 5G è stato bloccato a Bruxelles e in tre cantoni svizzeri, così come Olanda e Germania pretendono test che possano scongiurare un’overdose da elettrosmog e il Comune di Ravensburg progetta zone Free (cioè senza irradiazioni del 5G) per proteggere malati e categoria più a rischio, motivo per cui Portogallo e Malta non hanno ancora messo all’asta le nuove bande, al contrario del nostro Paese che s’è spinto molto più in là.

Infatti in Italia, dopo una prima fase di sperimentazione nel 2017 avviata sul 5G nelle città di Prato, L’ Aquila, Matera, Bari, Milano, a cui si sono aggiunte Roma, Torino, Genova e Cagliari è stata bandita nel 2018 (con Delibera Delibera n° 231/18/CONS dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) l’asta da 6,5 miliardi di euro per l’aggiudicazione dei lotti di tre nuove bande di radiofrequenze (694-790 MHz, 26.5-27.5 GHz, 3400-3800 MHz) e sono stati individuati una ulteriore lista di 120 piccoli comuni d’Italia in cui è prevista l’adozione del 5G; dopo di che si sta progettando a piè sospinto le installazioni 5G entro il 2022.

Eppure, a vario titolo istituzionale, tra Regioni, Province e Comuni si contano circa 200 amministrazioni tra Regioni, Province e Comuni (vedi comunicato stampa linkato nell’introduzione, ndr) in cui – all’indomani della Risoluzione di Vicovaro approvata nei lavori del 1° meeting nazionale promosso dall’Alleanza Italiana Stop 5G – ci si sta in questi giorni interrogando sui lati oscuri dell’Internet delle cose, mentre sono state approvate 22 tra mozioni o delibere per la moratoria sul 5G, mentre ben dieci interrogazioni sono state presentate alla Camera dei Deputati e in Senato da parlamentari appartenenti a diversi schieramenti politici, così come una recente mozione presentata a Montecitorio da cinque deputati ha impegnato il Governo in una moratoria nazionale sul 5G. Infine numerose sono state anche le diffide all’adozione del 5G sottoscritte da cittadini, comitati e associazioni rivolte ai membri del Governo e/o ai Sindaci in qualità di massima autorità sanitaria sul territorio, senza contare i 110 esposti per la prevenzione di eventuali danni alla salute già prodotti presso alcune Procure della Repubblica.

Gentili sindaci,

Vi ricordiamo che, ad ogni futuro effetto, è vostra la responsabilità penale, civile, amministrativa (da accertarsi nelle competenti sedi) per le conseguenze di ordine sanitario, che dovessero manifestarsi a breve, medio e lungo termine nella popolazione residente nel territorio comunale e specificatamente nell’area caratterizzata dalle criticità ambientali sopra indicate sulla base del vostro prudente apprezzamento, sia attraverso ordinanze previste dal T.U.E.L. (artt. 50 e 54), sia attraverso il regolamento per localizzazione di antenne.

Per questo motivo vi preghiamo di:

1.Intervenire a tutela della salute pubblica e di sospendere immediatamente la sperimentazione 5G nell’ambito di tutto il territorio comunale fino a quando non siano sufficientemente chiari tutti i rischi ad esso connessi e fino a che non verranno prodotti da Centri di Ricerca indipendenti che ne attestino la non nocività e l’innocuità per umanità ed ecosistema; e di sospendere ogni potenziamento delle infrastrutture e ogni nuova installazione 3G/4G;

2. Proclamare i vostri territori ”Liberi dal 5 G ” fino a che non siano chiariti quali problemi possono derivare per la salute pubblica;

3. Di tenere conto del diritto alla salute delle persone colpite dalla Sindrome dell’Elettro-sensibilità (EHS), Sensibilità Chimica Multipla (MCS), ma anche di donne incinte, malati, neonati, bambini, anziani, portatori di protesi e pacemaker, la cui salute sarebbe in grave pericolo a causa della massiccia irradiazione ubiquitaria, permanente di inesplorate (nel caso del 5G) radiofrequenze;

4.Di prevedere aree senza elettrosmog ed incentivare la scelta del cavo (fibra ottica) per le connessioni casalinghe.

Coordinamento Associazioni Orvietano, Tuscia e Lago di Bolsena, RIPA (Rete Interregionale Protezione Ambiente), Associazione Bolsena Lago d’Europa, SOS Geotermia, Difensori della Toscana, Rete Nazionale NOGESI

Polveri sottili e Covid-19. Quegli allarmisti di Harvard…

Dopo il documento del Sima, Università di Bari e Bologna, anche uno studio (stavolta ufficiale) dell’Università di Harvard conferma la relazione tra inquinamento e pandemia covid-19. E intanto le centrali geotermoelettriche “fumano”…

 

 


La cosa che fa più rabbia non è dover dire “ve l’avevamo detto”, ma vedere che ogni qualvolta lanciamo un allarme si scatenano le armate dei difensori della geotermia, finanziati o in buona fede che siano. Questo succede fin da quando, in pochi, male attrezzati, quasi ignoranti in materia, analizzavamo lo Studio epidemiologico dell’Ars Toscana dove si rilevava che nelle aree geotermiche, soprattutto in Amiata, c’erano valori di mortalità e malattie di molto superiori alla media regionale. Abbiamo subito attacchi da ogni lato: ENEL, politica, imprenditori, scettici per natura o per interesse, ecc. Negli anni poi abbiamo ampliato le conoscenze e circostanziato le denunce allargando lo sguardo anche ad altri aspetti, come la correlazione con terremoti e subsidenza, sull’impatto ambientale e climatico, sugli incentivi pubblici, sui presunti benefici economici e i reali danni, tanto che la lobby della geotermia speculativa e inquinante nulla può fare se non, appunto, continuare a dire che “non è vero niente”, almeno finché poi i fatti, non le opinioni, li smentiscono.

Sull’ultima “novità” della correlazione tra inquinamento e contagio da COVID-19 abbiamo dato pubblicità, il 20 marzo scorso, ad un documento (position paper) stilato da 12 studiosi e ricercatori del Sima e delle università di Bari, Bologna, Milano e Trieste in cui -con tutte le cautele del caso- si rilevava, appunto, la correlazione tra inquinamento e COVID-19; nello specifico il particolato atmosferico che ha esercitato un’azione di carrier (cioè da vettore di trasporto) e di boost (cioè di impulso alla diffusione virulenta).

Era naturale quindi mettere in relazione tale allarme con il fatto che la geotermia toscana “produce” il 39% delle emissioni nazionali di Ammoniaca secondo lo Studio di Basosi-Bravi (1), che è un precursore del particolato secondario inorganico PM10 e PM2,5 e, di conseguenza e a maggior ragione, chiedere la sospensione di ogni attività delle centrali termoelettriche.

Figurarsi! E’ partita la canea dei difensori delle centrali per ribadire che, uno, non è vero che ci sia questa correlazione e che il documento non è uno studio validato e, due, che nelle aree geotermiche c’è qualità dell’aria tra le migliori in Toscana. A poco vale ricordare che se non ci sono centraline che rilevano il particolato, come in pianura padana, non risulterà neanche questo tipo di inquinamento specifico, ma tant’è, chi ha più carte -e soldi- se le gioca…

Purtroppo, come diciamo, i fatti hanno la testa dura e il 5 aprile scorso è uscito uno studio dell’università di Harvard sullo stesso argomento da cui risulta “che un aumento di solo 1 μg/m3 nel PM 2,5 è associato ad un aumento del 15% del tasso di mortalità COVID-19, intervallo di confidenza al 95% (CI) (5%, 25%). I risultati sono statisticamente significativi e robusti per le analisi secondarie e di sensibilità.” e giunge a concludere che “un piccolo aumento dell’esposizione a lungo termine a PM 2,5 porta a un grande aumento del tasso di mortalità COVID-19, con l’entità di un aumento di 20 volte rispetto a PM 2,5 e mortalità per tutte le cause. I risultati dello studio sottolineano l’importanza di continuare a far rispettare le vigenti normative sull’inquinamento atmosferico per proteggere la salute umana sia durante che dopo la crisi COVID-19.”.

Significa che, ad esempio, chi vive in aree con alti livelli di particolato fine (PM 2.5) ha il 15% in più di probabilità di morire di COVID-19 rispetto a chi vive in un’area con un’unità in meno (1 μg per metro cubo) di inquinamento da particolato fine PM 2.5.

Peraltro la funzione di “veicolo” svolta dal particolato era ben nota a seguito di un precedente studio di scienziati e ricercatori cinesi del 2004 che aveva rilevato che le polveri trasportano micro-organismi (inclusi batteri, funghi e virus) e grazie all’inquinamento dell’aria vengono sollevati dal suolo assieme alle polveri e finiscono nei nostri polmoni.

Si aggiunga, come abbiamo scritto pochi giorni fa, che anche anche il Copernicus Climate Change Service (C3S), che lavora per l’Unione Europea, sta monitorando l’inquinamento e sta “…esaminando altri effetti che l’inquinamento potrebbe avere su Covid-19”.

“Un indizio è un indizio, ma più indizi fanno una prova”: cosa aspetta la politica a pronunciarsi contro la strage continua? Abbiamo chiuso in casa un Paese intero, messo a rischio di fame interi strati della popolazione, è in corso un’enorme caccia ai passeggiatori e corridori, ma le attività inquinanti, come le centrali geotermiche, sono sempre aperte e continuano a intascare gli incentivi pubblici (e si beccheranno, magari, anche un bel risarcimento per i guadagni ridotti dall’emergenza…).

Niente sarà come prima, chi ha la responsabilità politica fermi subito l’attività delle centrali geotermiche e dirotti gli incentivi per sostenere i territori, le famiglie e l’economia locale sostenibile.
Gli avvocati delle cause perse, per favore, tacciano.

Rete nazionale NoGESI, Sos Geotermia, Forum Ambientalista Toscano


Nota:
(1) Basosi-Bravi: Geotermia d’Impatto, su QualEnergia, giugno-luglio 2015, pagg.96-99, scaricabile QUI.

La pandemia Covid-19 impone un ripensamento sul modello di sviluppo, anche sulla geotermia

I fatti hanno la testa dura, le opinioni sono un venticello… Cambiare radicalmente il modello di sviluppo è necessario per la sopravvivenza.

 

 

Nulla sarà come prima, la “normalità” che abbiamo vissuto finora è probabilmente una delle cause dei problemi, dal riscaldamento globale, ai disastri climatici, al saccheggio delle risorse naturali e, finanche, alle epidemie.
Senza un radicale cambiamento di atteggiamento sull’ambiente, sui modelli di vita e di consumo la catastrofe sarà inevitabile. Da anni denunciamo che il modello di sfruttamento del calore della terra attraverso le centrali geotermoelettriche è una follia perché contribuisce con le sue emissioni al riscaldamento globale, all’inquinamento, ai danni alla salute, alla devastazione dei territori ed è, per assurdo, finanziato con soldi pubblici (prelevati dalle bollette pagate dai cittadini) perché ritenuto invece “ecologico”.

Abbiamo, nel corso del tempo, denunciato i guasti provocati dalla geotermia inquinante e speculativa utilizzando dati e studi prodotti da enti pubblici, tecnici e scienziati con opinioni anche diverse sulle misure da adottare. Vogliamo però ribadire che un conto sono i dati, altra cosa sono la lettura e le conclusioni che se ne traggono.

Un esempio valga per tutti: lo Studio epidemiologico 2010 sulle popolazioni delle aree geotermiche commissionato dall’Ars Toscana nel quale si registra un eccesso di mortalità statisticamente significativo nei maschi del +13%, con eccessi statisticamente significativi dell’ordine del 30% per tumori, in tre paesi: Abbadia San Salvatore, Piancastagnaio e  Arcidosso; ebbene, le conclusioni dello stesso studio erano che “In estrema sintesi… gli indizi e le prove raccolti evidenziano un quadro epidemiologico nell’area geotermica rassicurante…” e, a ruota, l’allora assessore regionale Bramerini dichiarava lo studio “…poderoso e importante perché uno dei primi completi che valutano la situazione sanitaria nelle aree geotermiche, evidenzia dati di salute rassicuranti…”.

Tutt’altra lettura ne abbiamo dato noi, come comitati, ma anche Medicina Democratica, l’ISDE ed altri epidemiologi, ritenendo che nelle aree geotermiche, in particolare in Amiata, ci fosse un eccesso di patologie e di decessi correlati anche all’attività delle centrali.

Questo significa, appunto, che le opinioni a volte fanno a pugni con i dati e che per avere un quadro complessivo bisogna analizzare tutti i dati, comprese le opinioni, ma poi bisogna sceglierne la lettura in base agli interessi che si vogliono tutelare: il profitto delle aziende e gli interessi politici oppure la salute, l’ambiente e una economia sostenibile. Noi, da sempre, abbiamo scelto la seconda!

Lo stesso è accaduto in merito alle possibili correlazioni tra l’incidenza del Covid-19 e l’inquinamento -in particolare PM10-, rilevato da un documento del Sima e Università di Bari e Bologna; abbiamo scritto che se tale correlazione è possibile allora sarebbe doveroso interrogarsi sul fatto che le emissioni geotermiche toscane sono il 39% di tutte le emissioni d’Italia di ammoniaca, che è universalmente riconosciuto come un precursore del particolato secondario inorganico PM10 e PM2,5, e che quindi, anche solo in via precauzionale, andrebbero cessate tutte le attività delle centrali.

I difensori della geotermia ci hanno immediatamente contestato, con opinioni diverse ma che davano per certo che l’aria delle aree geotermiche è tra le migliori della Toscana (anche se in queste aree non ci risulta siano presenti centraline di rilevamento del particolato), scoprendo poi che anche il Copernicus Climate Change Service (C3S), che lavora per l’Unione Europea, sta monitorando l’inquinamento e sta “…esaminando altri effetti che l’inquinamento potrebbe avere su Covid-19”. Non abbiamo i mezzi tecnici per affermare o sconfessare la tesi di una possibile correlazione, ma nel dubbio riteniamo debba sempre valere il principio di precauzione.

Siamo peraltro preoccupati da coloro che invece credono di poter utilizzare l’epidemia Covid-19 e la crisi economica che, di certo, ne seguirà, come argomento per sostenere che le elemosine che arrivano ai territori dagli incentivi alle centrali (questi sì cospicui…) ora più che mai sono necessari per sopravvivere all’emergenza.

Ci permettiamo di riprendere la tesi già espressa e ribadendo che invece questa emergenza deve per forza farci ripensare ad un modello di sviluppo (e di società) più attento all’ambiente e alla salute, in grado di valorizzare solo quell’economia sostenibile e legata alle eccellenze dei territori ed impiegando tutte le risorse per tale scopo e non per perpetrare speculazione, inquinamento e danni alla salute.
Papa Francesco proprio ieri diceva nel commemorare la domenica delle Palme, riferendosi all’epidemia da COVID-19: “i veri eroi non sono quelli che hanno successo, fama, soldi ma quelli che danno sé stessi per aiutare gli altri”.

Siamo ad un bivio, tocca a noi scegliere la direzione. 

Rete Nazionale NoGESI, SOS Geotermia

Geotermia esente da emissioni? Errare e perseverare. Lettera aperta a Governo e Commissione Europea

Lettera Aperta alla Commissione Europea e al Governo Italiano sulla geotermia elettrica

 

 

 

Dal documento Eionet Report – ETC/CME 2019/8 “Renewable energy in Europe — 2019” sembra che la produzione geotermica (così come quelle associate all’eolico, al fotovoltaico ed all’idroelettrico) sia considerata esente dall’emissione in atmosfera di sostanze climalteranti e quindi possa contribuire ad evitare le emissioni prodotte dai combustibili fossili.

In realtà non è così: come riconosciuto anche al “considerato n. 46” della DIRETTIVA (UE) 2018/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, “L’energia geotermica è un’importante fonte locale di energia rinnovabile che di solito genera emissioni considerevolmente più basse rispetto ai combustibili fossili, e alcuni tipi di impianti geotermici producono emissioni prossime allo zero. Ciononostante, a seconda delle caratteristiche geologiche di una determinata zona, la produzione di energia geotermica può generare gas a effetto serra e altre sostanze dai liquidi sotterranei e da altre formazioni geologiche del sottosuolo, che sono nocive per la salute e l’ambiente. Di conseguenza, la Commissione dovrebbe facilitare esclusivamente la diffusione di energia geotermica a basso impatto ambientale e dalle ridotte emissioni di gas a effetto serra rispetto alle fonti non rinnovabili”.
In particolare le centrali geotermiche a “ciclo aperto” (di tipo “flash” e “a vapore secco”) costruite da ENEL in Toscana, le uniche attive in Italia, producono rilasci di sostanze climalteranti e nocive per la salute dei cittadini e per l’ambiente in enormi quantità.
Ora, secondo il documento, nel settore della produzione di energia elettrica da centrali geotermiche, le emissioni evitate di Gas a Effetto Serra (GHG) ammontano a circa 0,51 Mt per l’anno 2018 (vedi tabella allegata allo studio).
Considerata la sporadicità dei controlli eseguiti dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, si ritiene maggiormente significativo, ai fini della quantificazione delle emissioni effettive delle centrali, quanto si può ricavare da un recente studio (Parisi-Ferrara-Torsello-Basosi, Life cycle assessment of atmospheric emission profiles of the Italian geothermal power plants , su Journal of Cleaner Production n. 234(2019), 881-894), che ha calcolato le emissioni medie che si sono avute da tutte le centrali geotermiche toscane nel periodo di tempo che va dal 2002 al 2016, rapportate ad ogni MWh di potenza prodotta; per ottenere le emissioni di ogni sostanza in un particolare anno, si può moltiplicare il valore medio riportato per la potenza generata dalle centrali in quello stesso anno; con questo metodo, per la potenza lorda di 6.105,40 GWh, si ottengono le seguenti quantità di sostanze emesse nel 2018:

Anidride carbonica (CO2): 6.105,40 * 483 kg/h = 2.948.908 t.
Metano (CH4): 6.105,40 * 7,10 kg/h = 43.348 t.
Anidride solforosa (SO2): 6.105,40 * 1,99 kg/h = 12.150 t.
Acido solfidrico (H2S): 6.105,40 * 1,34 kg/h = 8.181 t.
Ammoniaca (NH3): 6.105,40 * 1,23 kg/h = 7.510 t.
Monossido di carbonio (CO): 6.105,40 * 49,6 g/h = 303 t.
Mercurio (Hg) : 6.105,40 * 0,372 g/h = 2,27 t.
Antimonio (Sb): 6.105,40 * 0,041 g/h = 250 kg.
Arsenico (As): 6.105,40 * 0,04 g/h = 244 kg.

Queste emissioni reali sono in contraddizione palese rispetto ai dati riportati dall’EEA. Nello specifico quindi, nel settore della produzione di elettricità nelle centrali geotermiche italiane, non è stata evitata l’emissione di 510 mila tonnellate di CO2 come riportato dall’EEA, ma sono stati emessi quasi 3 milioni di tonnellate di CO2 e 43 mila tonnellate di CH4. E considerato che ogni kg di metano produce un effetto serra circa 25 volte maggiore di un kg di CO2, il fattore di emissione delle centrali geotermiche risulta pari a circa 650 kg.equiv.CO2/MWh, superiore a quello di centrali alimentate ad olio combustibile.
Non è più accettabile la tesi che le emissioni di CO2 delle centrali geotermiche siano sostitutive di quelle “naturali”, che si avrebbero comunque attraverso il terreno; esse in realtà si aggiungono a quelle naturali in quanto derivanti dall’estrazione di CO2 che “naturalmente” impiegherebbe secoli per venire alla luce dalla profondità di 3.500-4.000 mt.
Nel 2015 è stato pubblicato sul numero Giugno-Luglio della rivista QualEnergia un articolo del Prof. Basosi, dell’Università di Siena, e del Dott. Bravi, all’epoca ricercatore nella stessa Università, in cui si afferma: “… Il Protocollo di Kyoto e l’IPCC (Gruppo intergovernativo per i cambiamenti climatici) hanno considerato fino ad ora tutti i tipi di centrali geotermiche senza emissioni di CO2 e di gas climalteranti, adottando un concetto – ormai dimostratosi errato – che le emissioni naturali di CO2 delle zone geotermiche siano paragonabili a quelle causate dallo sfruttamento energetico delle stesse zone, trascurando la variabile temporale. Non hanno lo stesso effetto ambientale emissioni prodotte nell’arco di trent’anni di vita di una centrale o emissioni naturali di pari entità che si generino in 100.000 anni…”.
Molto significative ed inquinanti sono anche le emissioni di Acido solfidrico, Mercurio, Antimonio, Arsenico e di altre sostanze ancora, che non compaiono nella lista, come ad esempio il Boro ed il Radon.

In particolare, le emissioni di ammoniaca sono molto importanti, soprattutto nell’ area geotermica di Bagnore, in cui ENEL ha messo a punto un sistema di abbattimento che consiste nel pompaggio, all’interno degli AMIS delle centrali Bagnore 3 e Bagnore 4, di grandi quantità di acido solforico (280 kg./ora per ogni gruppo da 20 MW, per un totale di circa 20 tonn./giorno) per ridurre il contenuto di ammoniaca nelle emissioni del 75% rispetto alla quantità in ingresso, come richiesto dalle autorizzazioni. Ciononostante l’ammoniaca emessa dalle centrali dà ancora luogo alla formazione di particolato secondario inorganico (PM10 e PM2,5) in misura considerevole (per ogni 5 kg di ammoniaca si produce in media 1 kg di polveri sottili, attraverso la combinazione in atmosfera con sostanze quali nitrati e solfati, presenti anch’esse nelle emissioni geotermiche); ARPAT sostiene che tale formazione non avviene in prossimità degli impianti ma su aree distanti, a livello regionale, il che comunque è un fatto negativo conosciuto come “smokestack syndrome”: promuove la diffusione su vasta scala di sostanze nocive e longevi.
Il Piano Regionale per la Qualità dell’Aria vigente in Toscana ribadisce che il 9% delle polveri sottili circolanti nel territorio regionale è prodotto dall’attività geotermica: è veramente incomprensibile che, all’interno delle aree geotermiche toscane, non sia presente ad oggi nemmeno una centralina di rilevazione pubblica, che consenta effettivamente di affermare, come fa ARPAT, che “nel 2019 il valore limite relativo all’indicatore della media annuale di PM10 è stato ampiamente rispettato in tutte le stazioni della rete regionale”; se poi si ritiene che il 9% rappresenti una percentuale contenuta, basta tener presente che essa risulta di pochissimo inferiore a quella dell’intero comparto industriale regionale (10%) e pari a quella dell’intero riscaldamento domestico (9%), e che il massimo contributo proviene dalle centrali di Bagnore, un semplice puntino sulla carta geografica della Toscana.
Alle emissioni di Ammoniaca in atmosfera sono stati spesso associati costi sanitari indotti; due studiosi americani dell’Università di Harward, F. Paulot e D. J. Jacob, nel 2014 hanno quantificato tali costi in 100 $ per ogni kg di ammoniaca; nel 2005 il Comitato CAFE (Clean Air for Europe) aveva fissato per l’Italia danni per 22,5 €/kg. Si tratta, in ogni caso, di decine di milioni di Euro all’anno a carico del servizio sanitario nazionale.
Chiediamo gentilmente quindi un urgente controllo di tutti questi elementi, ed un’eventuale revisione dei dati ufficiali che sono di estrema importanza per le prossime decisioni del governo italiano sull’incentivazione delle energie rinnovabili.

Rete Nazionale NoGESI (No Geotermia Elettrica Speculativa e Inquinante)