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Progetto Bagnore 4, presentato il ricorso al TAR

E’ stato presentato nei termini di legge il ricorso al TAR regionale contro la Regione Toscana, controinteressata Enel, per la delibera n.810 del 10 settembre scorso che da il parere favorevole alla VIA su Bagnore 4, di fatto il ‘via libera’ al progetto della nuova centrale da 40 MW, su cui abbiamo già scritto QUI e QUI

L’approfondito lavoro ha evidenziato ben 12 motivi per l’annullamento della delibera regionale, nonostante continuino le solite litanie da parte di Enel e amministratori pubblici: ‘va tutto bene’, ‘è tutto sotto controllo’, ‘la legge è rispettata’, ‘abbiamo fatto il nostro dovere’, …

Invitiamo tutti i cittadini sensibili al problema a contribuire per coprire i costi delle spese legali, sottoscrivendo a offerta libera presso i punti di raccolta.

Riportiamo il Prologo del Ricorso invitando tutti a scaricare e leggere il testo completo con le motivazioni:

“L’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”,

“la dichiarazione del seminario ministeriale sulle acque sotterranee, tenutosi all’Aja nel 1991, riconosceva l’esigenza di intervenire per evitare il deterioramento delle acque dolci nel lungo periodo, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo…”,

“In una precedente riunione sul bilancio idrico dell’Amiata si disse che bisogna fare una valutazione costi- benefici”.

Si parla in questo ricorso della possibile compromissione di uno dei bacini idrici più importanti dell’Italia centrale, quindi non si ritiene di contravvenire al dovere di sintesi di cui alla norma, se ci si sofferma su alcune considerazioni generali.
I primi due brani citati sopra sono il primo ed il terzo considerando della direttiva 2000/60/CE, “quadro per l’azione comunitaria in materia di acque”.
Il terzo è il finale della risposta, sorprendente, che il proponente Enel Green Power fornisce sul quesito posto dall’acquedotto del Fiora:”quali azioni prevede di porre in atto qualora il monitoraggio accertasse una possibile ancorchè imprevista relazione tra coltivazione geotermica e tutela della falda del Monte Amiata?”.
Com’è possibile parlare di soppesare i costi ed i benefici di un impianto che rischia di compromettere in modo definitivo un patrimonio idrico definito dalla stessa Pubblica Amministrazione “strategico”, quando la direttiva comunitaria avverte esplicitamente che l’acqua non è un prodotto commerciale?
E, domanda ancora più imbarazzante, a quale interlocutore si riferisce il rappresentante di Enel green power, con il verbo “si disse” ? Forse che in quella precedente riunione la Pubblica Amministrazione era d’accordo su una valutazione costi-benefici che riguardava anche l’acqua, cioè quel patrimonio da proteggere e difendere e da trattare come tale di cui parla la direttiva comunitaria?
Si spera proprio di no eppure sembra di sì.
Come detto il monte Amiata è uno dei più importanti acquiferi dell’Italia centrale, che approvvigiona di ottima acqua potabile i bacini dell’Ombrone, del Fiora e del Tevere.
Si vorrà notare che nella decisione n. 2005/646/CE la normativa comunitaria ha inserito due siti nell’area amiatina, il numero 519 , fiume Fiora strada provinciale 119 Cellana- Selvena (in comune di Castellazzara), ed il numero 531 fiume Ombrone, valle confluenza Orcia, tra quelli destinati a formare la rete di intercalibrazione europea ed entrambi i siti sono qualificati HG, cioè con valutazione elevata-buona. Il dato conferma, se ce ne fosse bisogno, come la zona sia considerata, dal punto di vista idrico, particolarmente importante anche a livello comunitario.
La superficie dell’intera area del monte Amiata (452,23 km. quadrati) è pari a poco più di cinquecento volte l’estensione di Villa Borghese a Roma, eppure è considerata potenzialmente ai vertici tra tutti i complessi geotermici nel mondo (fonte Wikipedia) e le coltivazioni già presenti sono, come vedremo, numerose ed importanti.
Non è certo un primato di cui andare fieri se si ricorda ancora una volta che si tratta del bacino acquifero più importante della Toscana, soprattutto se leggiamo il recente contributo dell’autorità di bacino del fiume Tevere (di cui non si vede traccia nel verbale della conferenza dei servizi impugnata, neanche tra gli assenti, per cui bisogna trarre la facile conclusione che non era stata invitata), quello in cui l’Amiata viene definito “acquifero strategico”. Nel gennaio 2011, riferendosi ad un’altra procedura, avente comunque medesimo oggetto, l’Autorità suddetta affermava:”la documentazione prodotta non permette di escludere impatti dello sfruttamento geotermico sulla risorsa idrica dell’acquifero strategico del monte Amiata”.
Come vedremo, ancora oggi, a compatibilità ambientale già dichiarata, tale esclusione non è ancora possibile, anzi risulta molto probabile. Ma la Regione Toscana sembra non applicare il principio di precauzione ed ha concesso la compatibilità ambientale per un impianto che si aggiunge ad altri già esistenti, alcuni autorizzati senza neanche la valutazione di impatto ambientale. Senza uno straccio di valutazione sanitaria su un’area, come detto limitata, su cui vivono 26.538 abitanti divisi in 6 comuni, con una densità di 58,70 abitanti per chilometro quadrato.
Bisogna allora concludere, ancora prima di illustrare i motivi del presente ricorso, che, almeno in Toscana, è proprio il procedimento di VIA in sé ad essere completamente snaturato, visto che la valutazione medesima è inesistente. Ci si limita a prendere atto di quello che afferma il proponente (quando il SIA ed ogni altro documento da questi proveniente dovrebbe essere proprio l’oggetto dell’attenta valutazione voluta dalla legge) e si rinvia ai futuri monitoraggi (a compatibilità ambientale già concessa) per ottenere quei dati che sarebbero necessari alla valutazione medesima. Per buona misura la sorveglianza su questi monitoraggi, che richiede grandi risorse tecniche ed economiche, viene affidata ai comuni, senza soldi e senza risorse. Le cosiddette “criticità” vengono così superate perché nemmeno affrontate. Spesso riaffiorano in modo drammatico, come a Taranto, dove, però, al Giudice penale non resta che contare i danni e spesso i morti.