Non solo rischio centrali per le aree geotermiche, soprattutto quelle a cavallo fra alto Lazio, Umbria e bassa Toscana, ma una pericolosa tendenza alla monocoltura della nocciola e dei pesticidi in agricoltura. Riceviamo e volentieri pubblichiamo il comunicato di GDL” Monoculture e fitofarmaci” – RIPA (Rete Interregionale Protezione Ambiente)
Sempre più raramente (per fortuna) i giornali pubblicano articoli a favore dei pesticidi, visto che la UE ha negli ultimi mesi ha imbracciato la necessaria riduzione di essi: il 25-27% della produzione di gas serra è dovuto all’agricoltura, e che per questo l’Europa ha deciso di ridurre del 50% l’uso di sostanze chimiche entro il 2030 e ha promosso un programma come Farm to fork. Ma ancora questa cultura “arretrata” è viva: lo testimonia il processo tenuto ieri a Karl Bär, referente per la politica agricola dell’Istituto per l’Ambiente di Monaco di Baviera e Alexander Schiebel, che ha raccontato la battaglia dei cittadini contro i pesticidi nella città di Malles Venosta (BZ), denunciati per diffamazione da istituzioni e contadini.
L’ONU stessa dichiara che ci sono circa 200.000 morti l’anno per colpa dei pesticidi. Per questo motivo a gennaio del 2020 ha inviato la professoressa Hilal Elver, professore di ricerca e codirettrice del progetto sui cambiamenti climatici globali, la sicurezza umana e la democrazia ospitato all’interno dell’Orfalea Center for Global & International Studies, nonché illustre borsista presso la University of California Los Angeles Law School (UCLA) Resnick Food Law and Policy Center, per controllare lo stato dell’arte in Italia. Nel suo report tra le tante cose ha dichiarato: “la presenza di fertilizzanti contraffatti e tossici piuttosto diffusi, che vengono importati o assemblati in Italia e spesso utilizzati da lavoratori senza le adeguate competenze e in mancanza di misure di sicurezza sono solo alcune delle diverse pratiche diffuse illegali.”.
Con questo nessuno vuole accusare nessuno ma è pur vero che a giugno di quest’anno sono state sequestrate dalle autorità italiane 16,9 tonnellate di pesticidi illegali, per un valore di 300mila euro, trovati in un deposito in provincia di Viterbo, a Vetralla.
Nessuno criminalizza le nocciole, la questione non riguarda la singola coltivazione delle nocciole ma le centinaia di ettari che sono state autorizzate nel Lazio, in Umbria e in Toscana; nelle ultime due regioni le nocciole non sono colture tradizionali. Sul lago di Bolsena l’agricoltura produce in abbondanza ortaggi: verdure, pomodori vari e il pomodoro scatolone, cipolle, cetrioli, peperoni, melanzane, zucchini, pomodori e frutta (pesche, albicocche, susine, prugne, fragole, pere, ciliegie, meloni, cocomeri) olio di oliva e delicatissimi vini. Nei terreni intorno al bacino del lago si coltivano inoltre i legumi: fagioli, lenticchie, ceci, patate. Sull’altopiano dell’Alfina troviamo viti, ulivi, patate, legumi, pascoli e seminativi. In Toscana la maggior parte delle coltivazioni sono grano, vite, olivi e vivai. In Umbria la maggior parte sono vite, l’olio, il frumento, in nessuno di questi luoghi il nocciolo è coltura tradizionale.
Impiantare nocciole dove per farle crescere è necessario fare pozzi e impianti di irrigazione a goccia (si ricorda che nelle zone vocate, Capranica, Caprarola, Fabbrica di Roma ecc, difficilmente si trovano questo genere di cose anche se alcuni comuni hanno ormai SAU dell’80% dedicate alle nocciole, comuni non più in grado di sfamarsi in caso di crisi) significa utilizzare una preziosa risorsa pubblica per fini privati in modo irresponsabile. E qui nasce il problema poiché oltre a snaturare un territorio con altre vocazioni e modificare in modo permanente i paesaggi, le monocolture di nocciole richiedono acqua, preziosa in zone siccitose ma ancor più preziosa in zone ad alto valore naturalistico come nel caso dei SIC (siti di interesse comunitario) di cui il lago di Bolsena fa parte.
Sicuramente gli autori degli articoli sapranno che, come ha scritto l’ingegner Piero Bruni sul sito dell’Università della Tuscia, “ Il lago di Bolsena è circondato da vulcaniti che sono porose e permeabili. Le piogge percolano attraverso il terreno ed alimentano un grande falda acquifera. Il lago di Bolsena è la parte affiorante della falda acquifera. Il bacino idrogeologico è la parte della falda acquifera che ricarica il lago per vie dirette, superficiali ed ipogee. Il bacino idrogeologico è delimitato da spartiacque sotterranei. Le piogge che cadono fuori dal bacino idrogeologico alimentano i bacini confinanti (Tevere, Fiora, ecc.) … Il tempo di ricambio è dato dal numero di anni necessari per defluire attraverso l’emissario l’intero volume del lago. Negli anni 40 era di 120 anni, ora è di oltre 300 anni. La portata del Marta era di 2,4 mc/sec. Ora è 0,9 mc/sec. Questo perché sono stati trivellati oltre 1000 pozzi per uso potabile ed irriguo che sottraggono acqua dalla falda prima del suo arrivo al lago. In aggiunta le piogge sono diminuite durante lo stesso periodo del 10%”.
Queste poche righe sarebbero già da sole abbastanza per capire che i noccioli nella zona del Lago di Bolsena e dell’altopiano dell’Alfina sono insostenibili, così come lo sono in quei comuni dove non vi è più un’economia diversificata e per questo ricca, ma un economia dipendente esclusivamente dalle nocciole e che in caso di problematiche alle stesse non avrebbe altri introiti, inoltre, sicuramente i giornalisti che hanno scritto i due articoli sapranno che nei comuni della Tuscia come Capranica , Caprarola , Fabbrica di Roma, Corchiano, Ronciglione ecc vi è sempre più una folta schiera di cittadini residenti che sono ostaggio di prassi agricole insostenibili e dannose per la salute, ma se questo non basta bisogna andare a guardare la situazione di un altro lago quello di Vico, lo stesso infatti è oggetto di attenzioni da parte delle istituzioni e non è un caso che in data 16/6/2020 l’ottava commissione della Regione Lazio abbia ascoltato le parti in causa e che quasi tutte le parti fossero d’accordo sul fatto che l’antropizzazione del lago e in particolare modo l’uso di pesticidi e concimi chimici abbiano contribuito in modo notevole all’impossibilità dell’utilizzo dell’acqua del lago a scopo umano.
È ovvio quindi che proprio per via delle conseguenze che le monocolture hanno sui territori, ormai di pubblico dominio, le persone si oppongano a questo tipo di colonizzazione soprattutto in luoghi ove questo tipo di colture (per esempio le nocciole) non erano presenti prima. Ed è ovvio che in questi luoghi i cittadini si oppongano al punto da far inserire la monocoltura della nocciola nella Tuscia nell’atlante dei conflitti ambientali, la prima piattaforma web italiana geo referenziata, di consultazione gratuita, costruita con la collaborazione di dipartimenti universitari, ricercatori, giornalisti, attivisti e comitati territoriali, che raccoglie le schede descrittive dei maggiori disastri ambientali italiani.
Scrive Stefano Liberti giornalista dell’Internazionale: “Anche grazie al sostegno della regione Lazio, la Ferrero punta ad aumentare qui le superfici di altri diecimila ettari entro il 2025. Così nuovi impianti stanno proliferando, occupando zone dove normalmente gli alberi non c’erano. “Questo piano sta portando alla radicale trasformazione del paesaggio e a un’irreversibile perdita di biodiversità”, dice Famiano Crucianelli, ex sottosegretario del ministero degli esteri, oggi presidente del biodistretto della via Amerina e delle Forre, un’area che interessa tredici comuni della bassa Tuscia e dei monti Cimini.” E prosegue: “La nocciola è una grande risorsa per questa zona, ma va coltivata nel rispetto dell’ambiente. Qui si fa un uso eccessivo di chimica e si sta compromettendo un territorio intero, convertendolo in una monocoltura”.
Spiega Giuseppe Nascetti, direttore del dipartimento di ecologia e biologia dell’università della Tuscia: “L’aumento della produzione negli ultimi anni ha portato a una pesante eutrofizzazione delle acque, determinata dalla presenza di fosforo e azoto, che sono elementi costitutivi di fertilizzanti e pesticidi. Oggi il lago di Vico è in uno stato comatoso”. Nel suo studio, il professore mostra delle mappe che registrano l’andamento delle sostanze nelle acque del lago, con la conseguente variazione della flora e della fauna. Il docente, che ha condotto studi trentennali nell’area, lancia oggi un avvertimento: “Bisogna considerare produzioni più sostenibili, ragionare insieme a tutti i soggetti interessati per portare avanti un sistema di sviluppo più in equilibrio con l’ambiente. Abbiamo parlato con la Ferrero qualche anno fa, per lanciare un progetto pilota con effetti meno negativi sull’ambiente, ma alla fine non se n’è fatto nulla”.
Questo tipo di agricoltura, quindi, mette ancora più a rischio la biodiversità e la resilienza territoriale in netta contrapposizione con i goals dell’ONU, il Green Deal Europeo o i progetti Life che danno soldi per conservare la biodiversità.
Come se tutto ciò non bastasse sembra quasi che qui la legge non debba essere tenuta in considerazione. A gennaio 2014 è entrato in vigore l’obbligo per gli agricoltori della difesa integrata, attenzione non la lotta integrata consentita ad un numero limitato di aziende iscritte in un particolare registro. L’art. 19 della legge 150 del 2012 (entrata in vigore nel 2014) stabilisce che la difesa integrata è obbligatoria in Italia e che questa deve essere effettuata secondo lo schema dell’allegato III. Questo allegato prevede che prima di arrivare all’utilizzo della chimica si debbano utilizzare metodi fisici e biologici e che gli stessi devono essere annotati sul quaderno di campagna. Quanti agricoltori lo fanno? Non è dato sapere!
Non si possono riempire pagine di retorica senza guardare in faccia la realtà! La realtà è che le monocolture non sono in equilibrio con l’ambiente che poco c’entrano con l’agroecologia, unico metodo agricolo pubblicizzato dalla FAO come metodo per sfamare tutta la popolazione e rendere i sistemi alimentari più sani e sostenibili (Il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, ha sollecitato sistemi alimentari più sani e sostenibili e ha dichiarato che l’agro-ecologia può contribuire a una tale trasformazione). L’appello è stato lanciato nell’intervento di apertura al 2° Simposio Internazionale di Agro-ecologia che si è tenuto presso la FAO a Roma dal 3 al 5 aprile 2018.
Tacciare di follia chi si occupa di lasciare in eredità ai nostri figli una terra fertile e utilizzabile e ancora abitabile, non è da realisti è da folli. Folle è chi crede di poter continuare su questo binario e di seguire ancora un’economia lineare e non si accorge che l’Europa stanzia montagne di soldi per una transizione ad un Economia Circolare che prevede un agricoltura sostenibile e biologica per soddisfare i bisogni di oggi senza compromettere quelli di domani.
I membri del GDL” Monoculture e fitofarmaci” – RIPA (Rete Interregionale Protezione Ambiente)