Lettera Aperta alla Commissione Europea e al Governo Italiano sulla geotermia elettrica
Dal documento Eionet Report – ETC/CME 2019/8 “Renewable energy in Europe — 2019” sembra che la produzione geotermica (così come quelle associate all’eolico, al fotovoltaico ed all’idroelettrico) sia considerata esente dall’emissione in atmosfera di sostanze climalteranti e quindi possa contribuire ad evitare le emissioni prodotte dai combustibili fossili.
In realtà non è così: come riconosciuto anche al “considerato n. 46” della DIRETTIVA (UE) 2018/2001 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, “L’energia geotermica è un’importante fonte locale di energia rinnovabile che di solito genera emissioni considerevolmente più basse rispetto ai combustibili fossili, e alcuni tipi di impianti geotermici producono emissioni prossime allo zero. Ciononostante, a seconda delle caratteristiche geologiche di una determinata zona, la produzione di energia geotermica può generare gas a effetto serra e altre sostanze dai liquidi sotterranei e da altre formazioni geologiche del sottosuolo, che sono nocive per la salute e l’ambiente. Di conseguenza, la Commissione dovrebbe facilitare esclusivamente la diffusione di energia geotermica a basso impatto ambientale e dalle ridotte emissioni di gas a effetto serra rispetto alle fonti non rinnovabili”.
In particolare le centrali geotermiche a “ciclo aperto” (di tipo “flash” e “a vapore secco”) costruite da ENEL in Toscana, le uniche attive in Italia, producono rilasci di sostanze climalteranti e nocive per la salute dei cittadini e per l’ambiente in enormi quantità.
Ora, secondo il documento, nel settore della produzione di energia elettrica da centrali geotermiche, le emissioni evitate di Gas a Effetto Serra (GHG) ammontano a circa 0,51 Mt per l’anno 2018 (vedi tabella allegata allo studio).
Considerata la sporadicità dei controlli eseguiti dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana, si ritiene maggiormente significativo, ai fini della quantificazione delle emissioni effettive delle centrali, quanto si può ricavare da un recente studio (Parisi-Ferrara-Torsello-Basosi, Life cycle assessment of atmospheric emission profiles of the Italian geothermal power plants , su Journal of Cleaner Production n. 234(2019), 881-894), che ha calcolato le emissioni medie che si sono avute da tutte le centrali geotermiche toscane nel periodo di tempo che va dal 2002 al 2016, rapportate ad ogni MWh di potenza prodotta; per ottenere le emissioni di ogni sostanza in un particolare anno, si può moltiplicare il valore medio riportato per la potenza generata dalle centrali in quello stesso anno; con questo metodo, per la potenza lorda di 6.105,40 GWh, si ottengono le seguenti quantità di sostanze emesse nel 2018:
Anidride carbonica (CO2): 6.105,40 * 483 kg/h = 2.948.908 t.
Metano (CH4): 6.105,40 * 7,10 kg/h = 43.348 t.
Anidride solforosa (SO2): 6.105,40 * 1,99 kg/h = 12.150 t.
Acido solfidrico (H2S): 6.105,40 * 1,34 kg/h = 8.181 t.
Ammoniaca (NH3): 6.105,40 * 1,23 kg/h = 7.510 t.
Monossido di carbonio (CO): 6.105,40 * 49,6 g/h = 303 t.
Mercurio (Hg) : 6.105,40 * 0,372 g/h = 2,27 t.
Antimonio (Sb): 6.105,40 * 0,041 g/h = 250 kg.
Arsenico (As): 6.105,40 * 0,04 g/h = 244 kg.
Queste emissioni reali sono in contraddizione palese rispetto ai dati riportati dall’EEA. Nello specifico quindi, nel settore della produzione di elettricità nelle centrali geotermiche italiane, non è stata evitata l’emissione di 510 mila tonnellate di CO2 come riportato dall’EEA, ma sono stati emessi quasi 3 milioni di tonnellate di CO2 e 43 mila tonnellate di CH4. E considerato che ogni kg di metano produce un effetto serra circa 25 volte maggiore di un kg di CO2, il fattore di emissione delle centrali geotermiche risulta pari a circa 650 kg.equiv.CO2/MWh, superiore a quello di centrali alimentate ad olio combustibile.
Non è più accettabile la tesi che le emissioni di CO2 delle centrali geotermiche siano sostitutive di quelle “naturali”, che si avrebbero comunque attraverso il terreno; esse in realtà si aggiungono a quelle naturali in quanto derivanti dall’estrazione di CO2 che “naturalmente” impiegherebbe secoli per venire alla luce dalla profondità di 3.500-4.000 mt.
Nel 2015 è stato pubblicato sul numero Giugno-Luglio della rivista QualEnergia un articolo del Prof. Basosi, dell’Università di Siena, e del Dott. Bravi, all’epoca ricercatore nella stessa Università, in cui si afferma: “… Il Protocollo di Kyoto e l’IPCC (Gruppo intergovernativo per i cambiamenti climatici) hanno considerato fino ad ora tutti i tipi di centrali geotermiche senza emissioni di CO2 e di gas climalteranti, adottando un concetto – ormai dimostratosi errato – che le emissioni naturali di CO2 delle zone geotermiche siano paragonabili a quelle causate dallo sfruttamento energetico delle stesse zone, trascurando la variabile temporale. Non hanno lo stesso effetto ambientale emissioni prodotte nell’arco di trent’anni di vita di una centrale o emissioni naturali di pari entità che si generino in 100.000 anni…”.
Molto significative ed inquinanti sono anche le emissioni di Acido solfidrico, Mercurio, Antimonio, Arsenico e di altre sostanze ancora, che non compaiono nella lista, come ad esempio il Boro ed il Radon.
In particolare, le emissioni di ammoniaca sono molto importanti, soprattutto nell’ area geotermica di Bagnore, in cui ENEL ha messo a punto un sistema di abbattimento che consiste nel pompaggio, all’interno degli AMIS delle centrali Bagnore 3 e Bagnore 4, di grandi quantità di acido solforico (280 kg./ora per ogni gruppo da 20 MW, per un totale di circa 20 tonn./giorno) per ridurre il contenuto di ammoniaca nelle emissioni del 75% rispetto alla quantità in ingresso, come richiesto dalle autorizzazioni. Ciononostante l’ammoniaca emessa dalle centrali dà ancora luogo alla formazione di particolato secondario inorganico (PM10 e PM2,5) in misura considerevole (per ogni 5 kg di ammoniaca si produce in media 1 kg di polveri sottili, attraverso la combinazione in atmosfera con sostanze quali nitrati e solfati, presenti anch’esse nelle emissioni geotermiche); ARPAT sostiene che tale formazione non avviene in prossimità degli impianti ma su aree distanti, a livello regionale, il che comunque è un fatto negativo conosciuto come “smokestack syndrome”: promuove la diffusione su vasta scala di sostanze nocive e longevi.
Il Piano Regionale per la Qualità dell’Aria vigente in Toscana ribadisce che il 9% delle polveri sottili circolanti nel territorio regionale è prodotto dall’attività geotermica: è veramente incomprensibile che, all’interno delle aree geotermiche toscane, non sia presente ad oggi nemmeno una centralina di rilevazione pubblica, che consenta effettivamente di affermare, come fa ARPAT, che “nel 2019 il valore limite relativo all’indicatore della media annuale di PM10 è stato ampiamente rispettato in tutte le stazioni della rete regionale”; se poi si ritiene che il 9% rappresenti una percentuale contenuta, basta tener presente che essa risulta di pochissimo inferiore a quella dell’intero comparto industriale regionale (10%) e pari a quella dell’intero riscaldamento domestico (9%), e che il massimo contributo proviene dalle centrali di Bagnore, un semplice puntino sulla carta geografica della Toscana.
Alle emissioni di Ammoniaca in atmosfera sono stati spesso associati costi sanitari indotti; due studiosi americani dell’Università di Harward, F. Paulot e D. J. Jacob, nel 2014 hanno quantificato tali costi in 100 $ per ogni kg di ammoniaca; nel 2005 il Comitato CAFE (Clean Air for Europe) aveva fissato per l’Italia danni per 22,5 €/kg. Si tratta, in ogni caso, di decine di milioni di Euro all’anno a carico del servizio sanitario nazionale.
Chiediamo gentilmente quindi un urgente controllo di tutti questi elementi, ed un’eventuale revisione dei dati ufficiali che sono di estrema importanza per le prossime decisioni del governo italiano sull’incentivazione delle energie rinnovabili.
Rete Nazionale NoGESI (No Geotermia Elettrica Speculativa e Inquinante)